Di Chiara Scolastica Mosciatti
Nelson Carrilho, in Europa tra i primi e più importanti esponenti artistici della diaspora afro-caraibica e presente con le sue opere in tutto il mondo, è uno scultore originario del Curaçao residente nei Paesi Bassi. Dal 1983 il suo studio a Tuinstraat, cuore antico di Amsterdam, è un punto di riferimento per il quartiere e per molti artisti internazionali, che in questo studio trovano uno spazio per esposizioni, esibizioni e interconnessioni artistiche. In Calabria, a Riace, attraverso il mio lavoro curatoriale e diplomatico, Carrilho è impegnato in un progetto che coinvolge Italia, Paesi Bassi e Curaçao e che ha come obiettivo finale l’istallazione sul suolo pubblico della cittadina della locride di un grande gruppo scultoreo in bronzo.
Il Curaçao dal secolo XVII ai giorni nostri nostri: dalla schiavitù alla segregazione sociale.
L’occupazione e il totale assoggettamento del Curaçao, isola caraibica sopra il Venezuela, iniziarono nel 1499 con il genocidio dei nativi Aruachi per mano degli spagnoli, i quali non trovando oro in loco ribattezzarono il Curaçao “la isla inútil”. A partire dal XVII secolo l’isola servì da porto franco per il commercio degli schiavi, a disposizione dei compratori internazionali nel più grande mercato all’aperto del mondo. Gli schiavi, importati dalle colonie spagnole, poi da quelle britanniche e infine dagli olandesi che nel 1815 presero il controllo dell’isola, furono dichiarati liberi solo nel 1863. Una volta ricevuta la libertà, dagli ex schiavi del Curaçao ci si aspettava l’adozione dei costumi e dei comportamenti bianco-occidentali.
Nel 1925 Shell, la reale compagnia petrolifera olandese, aprì uno stabilimento in Curaçao, fatto che innescò un’ulteriore ondata di immigrazione internazionale specialmente da paesi del centro e del sud America. Per questi lavoratori solo determinate categorie di impiego erano disponibili: le posizioni più alte erano riservate ad un gruppo sociale specifico, ovvero quegli olandesi che si servivano temporaneamente della Shell in Curaçao come trampolino di lancio per raggiungere posizioni più alte e meglio retribuite nei Paesi Bassi. In quell’epoca l’egemonia olandese divenne particolarmente forte, perché nella ristrutturazione del registro civile, della sicurezza sociale e delle forze dell’ordine del Curaçao, gli impieghi pubblici furono destinati prevalentemente ai bianchi. Questo enfatizzò la già grande differenza fra gli immigrati olandesi e i locali, la cui maggior parte discendeva dagli schiavi. Il discrimine tra i due gruppi era associato al colore della pelle. Per accedere a posizioni lavorative più significative, diventava quindi fondamentale per i locali conformarsi al codice culturale olandese. Quegli antillani che non erano in grado di farlo, dagli olandesi venivano spregiativamente chiamati “makamba”.
Nelson Carrilho migrante: nel dolore del Sé estinto.
Nel 1954, un anno dopo la nascita di Nelson, il Curaçao passò da colonia a stato federale del Regno dei Paesi Bassi; nel 1965 il padre di Nelson, un ragioniere surinamese giunto in Curaçao per lavorare alla Shell, decise di trasferirsi con tutta la famiglia nei Paesi Bassi. Nelson, appena adolescente, passò da una vivace isola creola in cui aveva ricevuto una prima educazione olandese, ad un piccolo villaggio olandese abitato solo da bianchi. La percezione del proprio sé si collegò automaticamente al colore della pelle e a scuola, confrontandosi con i suoi compagni di classe, Nelson si rese conto di non essere assolutamente in grado di fornire alcuna informazione originale sul Curaçao, di non poter neanche concepire il Curaçao come entità distinta e separata da quella olandese. La scoperta dell’assenza di origini creò una frattura psicologica nel giovane, il quale, per indagare a ritroso in traumi e separazioni più antiche e irrimediabili, partì dall’unico indizio che della propria identità restava: l’essere nero.
Nelson Carrilho studiò con disciplina ma insofferenza all’Accademia di Belle Arti di Utrecht, dove i fasti della civiltà occidentale erano i soli disponibili, gli unici esistenti nella storia del mondo e dell’arte, in cui se qualcuno come Nelson capitava di apparire, era sempre e solo nella posizione di servo. In maniera del tutto autonoma, Nelson iniziò una ricerca e una ricostruzione del proprio patrimonio storico e culturale di appartenenza, ovvero quello afro-caraibico. Il processo di riconnessione con un sé estinto, fu per forza di cose un percorso lento, doloroso e totalizzante. Ma negli anni ‘80, completati gli studi in Accademia e raggiunte sia una buona consapevolezza d’uso degli strumenti classici di composizione artistica, che una sufficiente rielaborazione dell’estetica della diaspora nera, Nelson era pronto a mettere in crisi con grazia e dirompenza lo spazio pubblico.
Mama Baranka: oltre la soglia del lutto.
Nel 1984 Nelson Carrilho si consacrò artista della diaspora africana grazie all’opera “MAMA B.”
Nelson, inesperto di opere di grandi dimensioni e al suo primo lavoro pubblico, vinse le enormi pressioni dovute alla delicatezza dell’incarico e al brevissimo tempo di realizzazione. Consegnò in tempo l’opera Mama Baranka, una immensa e pietosa figura di africana memoria. Mama Baranka, ovvero Madre Roccia, si materializzò nelle sembianze di un’ultima della società, una donna nera di mezza età. A conferma della forza dialettica dell’immagine, capace di eludere le facili dinamiche di rivendicazione e vittimismo che il memoriale poteva innescare, Mama Baranka venne vandalizzata con della vernice bianca una settimana dopo l’inaugurazione. L’episodio rese Carrilho ancora più noto nel sistema artistico dei Paesi Bassi, un mondo elitario strettamente dominato dai bianchi. Se da un lato la sua presenza in quel mondo fu una conquista nel cammino della comunità nera verso l’autorappresentazione, dall’altro acuì ancora di più la crisi interiore di Nelson e la sua necessità di indagare le conseguenze di una relazione sbilanciata con un potere predatorio e assoggettante, indagine perseverante in tutta la sua successiva produzione artistica.