Al tempo del Coronavirus si muore senza funerale.
L’ultimo saluto può avvenire solo nell’orizzonte del pensiero, che, se condiviso, può essere molto potente. Basta trovare il momento adatto per pensare forte alla stessa cosa tutti insieme: cinque minuti di silenzio, senza televisione, senza telefono, senza computer, cinque minuti di raccoglimento da dedicare a chi non c’è più. Da qui l’appello di Franco Arminio: una breve cerimonia collettiva di compianto ai morti. L’appuntamento col silenzio, “che ognuno potrà usare come vuole”, è per domenica 29 marzo alle ore 12.
Marcel Proust diceva che i vivi sono dei morti non ancora entrati in funzione. E dunque la morte non può essere rimossa anche adesso che è al centro della vita individuale e collettiva.
Scrive Arminio nella lettera di presentazione della proposta che l’On. Davide Crippa (Movimento 5 Stelle) ha letto in Parlamento. Ufficializzare l’iniziativa significa aumentare le potenziali adesioni, e dunque trasformare la solidarietà individuale in solidarietà collettiva. Non è cosa da poco.
All’aberrazione di morire soli, senza il contatto rassicurante di una mano amica, Franco Arminio contrappone il suo intervento concreto. Da quando ha scritto il proprio numero di telefono in un post Instagram, la sua casa isolata nel cuore dell’Irpinia ogni mattina risuona delle voci di chi desidera qualche parola di conforto.
Oggi che l’impensato ha travolto le nostre vite, dobbiamo aprire la nostra testa all’immaginazione – ha dichiarato in un’intervista a Mario Calabresi.
Ognuno di noi dovrebbe fare un piccolo gesto che si discosta dalla normalità. Io, da vecchio ipocondriaco, posso mettere a disposizione l’esperienza di anni di panico e di nervi accesi.
Le storie che sta raccogliendo le condivide sulla sua pagina Instagram, con il consenso di chi le racconta.
Chiamano da tutta Italia, lavoratori in cassa integrazione, novellini dello smart working, anziani malinconici, studenti universitari momentaneamente sfaccendati. Parlano di poesia, di incertezza, di sconforto, ma anche di amori, perduti o ritrovati.
C’è la signora Rosa dall’Isola d’Elba che ha 75 anni e soffre perché non può esaudire il desiderio di un bacio con il suo innamorato. C’è Antonella, impiegata in un call center di Napoli, che insieme con il suo compagno ha dovuto interrompere l’iter di fecondazione assistita, differendo ancora una volta l’incontro con il figlio che desidera. E poi c’è Livia, da Genova, che spera in una rivoluzione della poesia contro l’egoismo e la paura. Ci sono quelli che telefonano da lontano, dall’Olanda, dal Portogallo: espatriati per lavoro o per amore, rimpiangono un po’ di non essere qui ora, ma si commuovono con noi, mentre i loro tricolori campeggiano con orgoglio fuori dalle finestre di città straniere.
L’appello di Franco Arminio è semplice ma accorato: viene spontaneo condividerlo, ché “restare umani è un compito che non contrasta con quello di rimanere sani”.
Chiara Dalmasso