L’animale nell’ordinamento giuridico: figura a metà tra essere vivente e oggetto

L'animale nell'ordinamento giuridico

L'animale nell'ordinamento giuridico

Che cos’è l’animale per la legge? Se da un lato esistono delle norme per tutelarlo, dall’altro viene assimilato a un oggetto a disposizione dell’uomo. Una contraddizione da superare.

Nel lungo percorso di civiltà nella conquista dei diritti dei più deboli, oggi l’animale vive una fase di transizione nell’ordinamento giuridico italiano. Gli anni Duemila hanno rappresentato un importante punto di svolta, con la legge 189 del 2004, che ha inserito nel Codice penale alcune norme di tutela per gli animali. Ad esempio, chiunque per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte o  una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a lavori insopportabili è punito con la pena alla reclusione, o con una multa. Si tratta di norme di tutela in favore di esseri viventi, che per altri versi continuano a costituire meri oggetti del patrimonio umano. E come tali suscettibili di essere valutati economicamente, di essere venduti o acquistati, di essere sfruttati per il proprio corpo: come carne, per produrre alimenti, per diventare il nostro vestiario. Un corpo vivente in pieno potere di altri esseri viventi. Una sorta di schiavo.



Una contraddizione “logica”

Come fa la legge a giustificare questa contraddizione? Come può da un lato dettare norme che tutelano l’integrità psicofisica di un essere vivente e dall’altro disciplinarne lo sfruttamento economico e fisico? Le norme di tutela penale degli animali sono racchiuse del titolo IX bis del Codice penale, intitolato dei “Delitti contro il sentimento per gli animali“. Ad essere tutelato non è dunque l’animale quale essere vivente, ma il sentimento che per essi l’uomo prova. Una sorta di fictio giuridica. L’uccisione dell’animale è punita, ma solo se non è necessaria per la legge. E per essa la macellazione e la sperimentazione animale sono necessarie.

Gli animali di affezione

L’essere umano classifica ogni l’animale con cui entra in contatto, destinandolo in diverse categorie. Se alcuni di essi sono impiegati per l’alimentazione, altri per il lavoro o per il divertimento, solo pochi di essi sono da amare. Una sorta di eletti fra gli ultimi. Il cane e il gatto nella nostra società spesso sono elevati a membri della famiglia. Solo per essi sembra essersi compiuto appieno, almeno formalmente, il passaggio ad una tutela onnicomprensiva del loro benessere psicofisico. Ma l’animale di affezione nell’ordinamento giuridico rimane pur sempre una “cosa”.

Antonio Scaramozza

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