“Ecco il mio piano per l’estate: accoglienza dignitosa per tutti, rimpatri entro un mese per chi arriva da Paesi sicuri”. Autore di questo ossimoro è il prefetto Valerio Valenti che prevede di aprire presto a Lampedusa la prima area di trattenimento in Italia. In questi centri, i migranti verranno rinchiusi in attesa di essere rispediti nel paese di provenienza se considerato “sicuro”. A Lampedusa si ipotizza dunque di seguire il “modello Lesbo”: ancora una volta prevale la disumanizzazione dei migranti invece di lavorare ad un sistema di accoglienza veramente solidale.
A Lampedusa potrebbe sorgere la prima area di trattenimento per migranti in Italia
Nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Imbriacola, nell’isola di Lampedusa, la mattina del 7 giugno scorso, il Commissario per l’emergenza migranti Valerio Valenti ha esposto i prossimi obiettivi che intende perseguire. Primo fra tutti la realizzazione di un “più ampio rimpatrio dei soggetti che non hanno titolo a rimanere sul territorio”. Un proposito che ha detto, con sicurezza, essere “condiviso a livello europeo”.
Il rimpatrio sarà possibile grazie all’apertura di centri di trattenimento. Qui verranno rinchiusi i migranti sopraggiunti negli hotspot in attesa di essere rimpatriati, attraverso procedure di frontiera accelerate. Gli spazi dei centri saranno progettati in modo da accogliere migliaia di persone fino a tre mesi. I rifugiati provenienti da paesi che il governo ritiene “sicuri”, dove in realtà violenze e discriminazioni sono all’ordine del giorno, non verranno dunque smistati nei centri di accoglienza ma rispediti indietro senza che la loro situazione venga prima valutata. Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana), si è subito schierato contro la realizzazione di tali aree:
“Nel momento in cui uno Stato può respingere in un altro Paese, definito sicuro ma di fatto pagato da noi, una persona […] questo significa cancellare di fatto la convenzione di Ginevra e il sacro principio del non respingimento”.
Arriva la Croce Rossa italiana a Lampedusa
Nel frattempo, dal primo giugno il centro di prima accoglienza di Lampedusa è passato sotto la gestione della Croce Rossa italiana. Nel corso della medesima conferenza stampa a Imbriacola, il Direttore Ignazio Schintu ha sottolineato che la parola d’ordine nello svolgimento del loro lavoro è “dignità”:
“La missione di Croce rossa, in quella che è la porta d’Europa, è ridare dignità a tutte quelle persone che arrivano in Italia”.
Nelle ultime settimane hanno dunque raggiunto Lampedusa diversi gruppi di mediatori, medici e infermieri. Sono poi stati rinforzati diversi servizi essenziali, carenti o del tutto assenti negli anni precedenti: brandine e posti letto adeguati, una mensa funzionale, bagni mobili ecc. La Croce Rossa porterà avanti anche un nuovo progetto, chiamato “Restore Family Links”. Questo permetterà di mettere in contatto i migranti con i propri familiari, grazie al Wi-Fi ed ai cellulari messi a loro disposizione. In ultima istanza, l’obiettivo è ridurre i tempi di permanenza all’interno dell’hotspot, che non dovranno superare le 48 ore, e accelerare il trasferimento nei centri di accoglienza. Nel caso di arrivi massicci, la permanenza non dovrà comunque superare i sei giorni.
Da un lato vediamo come l’arrivo della Croce Rossa sia promettente, capace di migliorare effettivamente l’accoglienza per molti migranti. Alla volontà di fare di Lampedusa un “centro di eccellenza” si affianca tuttavia un progetto che renderà l’isola siciliana la “nuova Lesbo”, isola-simbolo del fallimento della politica migratoria europea.
Il “modello Lesbo” tra sovraffollamento e prigioni a cielo aperto
L’isola greca di Lesbo, situata nell’Egeo nordorientale, è stata per anni il punto prediletto di ingresso in Europa. Il modello hotspot messo qui in atto ha tuttavia dato vita ad uno scenario umanitario tragico in cui i migranti vivono nella precarietà. I campi si sono trasformati in delle vere e proprie prigioni a cielo aperto dove i profughi vengono rinchiusi in attesa di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, senza il quale non possono lasciare l’isola. Possono però passare anni prima che la propria domanda di asilo venga presa in considerazione. Così, i campi sono diventati sempre più affollati, con luttuosi episodi come l’incendio del campo di Moria nel settembre del 2020.
La permanenza dei migranti nei centri si è fatta sempre più lunga dopo l’accordo stipulato dall’UE con la Turchia nel marzo 2016. Tale accordo, definito da Amnesty International “deleterio per la storia dei diritti umani dell’Ue”, prevede che i migranti irregolari, che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche, sarebbero stati rimpatriati. Nel frattempo, gli arrivi non hanno accennato a diminuire. I rifugiati sono dunque rimasti, sempre più numerosi, segregati in condizioni disumane, senza nessun accesso alla sanità o all’istruzione. Molti hanno preferito togliersi la vita. Cosa ha fatto l’Unione Europea di fronte tutto ciò? Ha continuato nella direzione di politiche di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere che rappresentano un’abdicazione alla Convenzione di Ginevra.
Area di trattenimento in Italia: una violazione della Convenzione di Ginevra
Nel 1951 i rappresentanti di dodici paesi, fra cui l’Italia, hanno firmato in Svizzera un trattato internazionale che stabiliva i diritti dei migranti insieme agli obblighi legali degli Stati firmatari di proteggerli. Secondo l’articolo 33 della Convenzione:
“Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.”
Si tratta del principio fondamentale del non-refoulement di cui i centri di trattenimento rappresentano una violazione. Recentemente diverse occasioni hanno costretto la Corte europea dei diritti umani a ricordare ai paesi UE che non possono continuare a evadere gli obblighi sanciti a Ginevra. Proprio Lampedusa è stata oggetto di condanna da parte della Corte nel mese di marzo. Strasburgo ha infatti condannato il trattenimento dei migranti nell’hotspot dell’isola, definito un’abdicazione alla Convenzione. L’arbitraria detenzione e privazione della libertà a cui i migranti approdati a Lampedusa sono sottoposti costituisce un oltraggio ai diritti umani.
Le politiche europee di prevenzione degli arrivi e respingimento non metteranno fine alla crisi migratoria e umanitaria di cui siamo oggi testimoni. È necessario cambiare l’attuale sistema di non-accoglienza. In primis nel nostro paese dove, tra espulsioni dai centri e la possibile prima area di trattenimento, intervallati da condotte positive come quella della Croce Rossa a Lampedusa, facciamo sempre più passi indietro. Altrimenti, per citare la nuova serie del fumettista Zerocalcare, queste povere famiglie faranno la fine delle “palline del flipper”, fatte rimbalzare da un paese ad un altro. Certo, sempre ammesso che la detenzione alle frontiere non le uccida prima.