Ambiente lavorativo-famiglia: un ossimoro negli intenti
Nel mondo odierno è sempre più frequente reinventare ruoli, professioni e ambienti lavorativi. Sono pratiche volte a influenzare il lavoratore e a somministragli un mondo in cui la mattina ci si alza con il sorriso, si arriva in ufficio e allegramente ci si mette a lavorare in un ambiente-famiglia che stimola la creatività e lo spirito. Ecco, come le pubblicità della “Mulino Bianco”. È ovvio che questa nuova condizione che tante aziende creano è volta a incrementare la produttività e la coesione tra i lavoratori. Un ambiente di lavoro atipico con caratteri che corrispondono a quelli della famiglia.
Ma cosa provoca tutto ciò se non una forma distorta e ipocrita del significato stesso del lavoro? Perché la famiglia, il gruppo di amici, un gruppo di tifosi piuttosto che un gruppo di credenti praticanti sono insiemi che esistono senza un obiettivo mirato, ma per semplice condivisione di valori avulsi da finalità. L’ambiente lavorativo no: esistono valori che coincidono, però, con la politica aziendale. Come è giusto che sia, l’indole dell’ambiente lavorativo è improntata a tornaconti, a possibilità di crescita e a finalità individuali. Pertanto, mascherare questo ambiente con l’abito della famiglia è negli intenti un ossimoro: è contrapposizione tra valori senza finalità e finalità congiunte a valori aziendali.
Giovani attratti dai “team dinamici” intesi come famiglia
In tutto ciò, chi sono coloro che cadono nella trappola lavoro-famiglia se non i più giovani? È, purtroppo, una condizione a cui il giovane viene soggiogato, tutto ciò condito dalla possibilità di lavorare in “team dinamici” con coetanei nella stessa situazione. Con l’opportunità di trovare una posizione nel mondo del lavoro, il giovane rimane affascinato dall’ambiente proposto dall’azienda: un ambiente che corrisponde a una famiglia nella quale si collabora in ufficio e con la quale si condividono aperitivi, cene, sport. Tutto incentrato alla fidelizzazione del dipendente nell’atto di formare un esercito che risponda ai diktat aziendali difendendone a spada tratta i principi.
Paradossale. L’ufficio preposto a habitat dalle proprietà votate alla spensieratezza e al divertimento. Veri e propri ecosistemi nei quali vige affetto e amore, amicizia e fedeltà. Una setta che, talvolta, costringe i giovani a partecipare alle attività succitate pur di non “tradire” la politica aziendale. Per non parlare dei riti conditi da entusiasmo e partecipazione: canti, applausi e gesti identificativi ogni qualvolta si inizia la giornata o si ottiene un risultato importante. Ciò che si vede nel film di Scorsese “The Wolf of Wall Street” non è un’esagerazione, ma una realtà che contraddistingue molte aziende e che presenta la figura del lavoratore non come tale, ma come una vera e propria recluta.
Cosa insegna questo ambiente?
Il dipendente è tale non solo nei compiti che esegue ma anche se agevolato nel compiere una crescita professionale e scalare a mano a mano la piramide del lavoro. Pertanto, la domanda sorge spontanea: le aziende che propongono questo ambiente lavorativo votato alla famiglia può garantire ascesa professionale? Perché se la famiglia è importante sul luogo di lavoro come dicono, allora non esiste competizione tra i dipendenti. La stessa competizione che è un diritto e un dovere al fine di migliorarsi professionalmente.
Cosa succede una volta che un individuo previa esperienza in tali ambiti desidera ricollocarsi in aziende che non offrono queste condizioni? Può incorrere in problematiche legate ad assenza di capacità competitive. Incontrerebbe difficoltà nel lavorare in ambienti privi di spensieratezza; avrebbe bisogno di amici all’interno, di persone con le quali condividere non solo il lavoro, ma anche uno “Spritz”. Con questo non si intendere designare l’ufficio a mero contenitore di individui impassibili, insensibili, spogli di emotività e dalle movenze robotiche; si passerebbe da un estremo all’altro. Ma la famiglia non può essere riconducibile ad un ambiente di lavoro dove prima delle politiche aziendali, il dipendente si rimette (giustamente) a obiettivi personali finalizzati a benefici e profitti.
Lorenzo Tassi