L’Amazzonia è in fiamme. 72 mila gli incendi registrati dall’Agenzia spaziale brasiliana (Inpe) da gennaio ad oggi, 9500 sono scoppiati nell’ultima settimana. Si tratta di un incremento dell’84% rispetto allo scorso anno, nonché il dato più alto dal 2013, anno in cui sono iniziate le rivelazioni del fenomeno.
Recentemente, la città di San Paolo è rimasta al buio. Il fumo degli incendi ha provocato il blackout e ha oscurato la città per più di un’ora. Intanto, il presidente Bolsonaro prova a difendersi e lo fa indicando il capro espiatorio di turno, le ong, accusate di provocare gli incendi nella foresta amazzonica poiché non più sostanziate dai finanziamenti governativi, che il governo Bolsonaro ha deciso di sottrargli. Sono illazioni quest’ultime che tuttavia servono a spostare l’attenzione.
Le accuse alle Ong svuotate di finanziamenti, mentre la foresta è in fiamme
Bolsonaro ha poi attenuato le accuse che restano tuttavia sostanziali: “Non sto dicendo che le Ong sono responsabili degli incendi, sto dicendo che qui c’è un reato da combattere” ma “esiste un interesse delle Ong, che rappresentano interessi diversi da quelli del Brasile”, perché “noi gli abbiamo tolto molti soldi: dei fondi che venivano da fuori, il 40% andava a loro, e ora non ce l’hanno più. E abbiamo messo fine anche ai contributi pagati con fondi pubblici”.
I partiti anti-ong sorridono e irridono, ma il problema resta lo stesso: uno dei più grandi polmoni del pianeta è in fiamme e le sue parti ancora vive non sono destinate alla conservazione bensì allo sfruttamento, secondo quanto dettato dall’attuale presidente del Brasile.
È iniziata la Settimana latinoamericana e caraibica sui cambiamenti climatici
Il 19 agosto scorso è iniziata la Settimana latinoamericana e caraibica sui cambiamenti climatici, organizzata dalle Nazioni Unite a Salvador de Bahia, capitale dello Stato di Bahia. Il ministro brasiliano dell’Ambiente, Ricardo Salles, ne aveva annunciato l’annullamento tre mesi fa. Presente invece agli incontri dell’Onu, ha ricevuto fischi e dissensi.
La settimana dedicata al clima si pone obiettivi ambiziosi, come si evince nel sito delle Nazioni Unite. “Gli attuali piani d’azione nazionali per il clima, noti come Nationally Determined Contributions (NDCs), non sono sufficienti per mantenere il mondo sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale il più vicino possibile a 1,5 gradi Celsius. A questo proposito, LACCW (la settimana latinoamericana sui cambiamenti climatici) si svolge in un momento critico in cui i governi si preparano a presentare il prossimo round di NDC, entro il 2020”.
“I risultati del LACCW alimenteranno i risultati del vertice di azione per il clima organizzato dal Segretario generale delle Nazioni Unite il 23 settembre a New York con l’obiettivo finale di rafforzare – così si legge nel sito dell’evento – le ambizioni climatiche e accelerare l’attuazione dell’accordo di Parigi e dell’Agenda 2030 per la sostenibilità Sviluppo. LACCW 2019 contribuirà inoltre a dare slancio alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP25) che si svolgerà a Santiago, in Cile, dal 2 al 13 dicembre 2019”.
Molteplici sono le minacce ai popoli indigeni e alla foresta
In un report del 19 novembre 2018 dell’Onu, dal nome ‘The contribution of the Indigenous Peoples of the Amazon to the global climate’, si legge: Nelle foreste del mondo, specialmente nei paesi tropicali, c’è un’enorme deforestazione ogni anno. Mentre è importante che i territori indigeni siano barriere alla deforestazione, lo è in merito al fatto che una parte significativa della foresta al loro interno è soggetta a forti pressioni e minacce.
Le minacce non giungono soltanto dal governo brasiliano, intento a sfruttare ogni parte della foresta anche a scapito delle popolazioni che lo vivono. Mentre la deforestazione ha raggiunto livelli i più alti mai registrati, in Brasile è in corso una caccia all’oro: gli indigeni Wayapi, sono stati minacciati da una cinquantina di minatori clandestini, i garimpeiros, armati di fucili automatici.
È successo a fine luglio scorso. Una cinquantina di minatori clandestini, i cosiddetti garimpeiros, armati di fucili automatici, minacciavano di massacrare gli indigeni Wayapi in un territorio presumibilmente pieno d’oro. Dopo giorni di tensione e le richieste di aiuto lanciate dalla comunità indigena, la polizia federale è stata mobilitata per eseguire un’operazione sul territorio indigeno e svelare i presunti crimini. Mentre il presidente Bolsonaro ha dichiarato di voler ‘legalizzare’ la ricerca dell’oro in queste riserve, prende forma il sospetto che sia stato proprio il presidente a concedere permessi per attività illegali di disboscamento, coltivazione ed estrazione.
L’ultima frontiera: vita, morte e resistenza in Amazzonia , di Heriberto Araujo
Heriberto Araujo, giornalista e scrittore per l’agenzia messicana Notimex, è autore di L’ultima frontiera: vita morte e resistenza in Amazzonia, che Radio3 ha riportato integralmente nella trasmissione Tre Soldi ad aprile scorso.
Realizzata dopo due anni di viaggi e investigazioni nella regione, L’ultima frontiera: vita, morte e resistenza in Amazzonia pretende, giustamente, di dare voce alla gente locale per demitizzare una regione che spesso immaginiamo come intatta, idillica e paradisiaca.
Le storie che si raccontano, dalla lotta degli indigeni per preservare la loro terra fino all’uccisione di attivisti e contadini, mostrano una faccia ben meno conosciuta della Grande Foresta. Una realtà segnata dal conflitto, dalla miseria e, soprattutto, da una smisurata ambizione umana che, con l’arrivo di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile, diventa sempre più preoccupante.
“L’Amazzonia è stata aperta al capitalismo negli ultimi 30-40 anni – ha riferito Araujo a Radio3 lo scorso mese – “tramite l’apertura di strade, proprio nei territori degli Wayapi negli anni ’70. Gli Wayapi erano degli indigeni isolati, in mezzo alla foresta. Sono stati costretti a spostarsi nel Nord della foresta, dove attualmente vivono”. Si tratta di una foresta di più di 600 mila ettari, protetta dalla Costituzione brasiliana, dove vivono 1000 persone in 49 villaggi. È una regione ricca di oro, di minerali e altre risorse. È molto vicina al fiume, quindi il trasporto di materiali si rende ancora più agevole.
Cosa sta cambiando in Brasile? Le conseguenze dell’impunità
Il garimperoiros è chiunque vada in mezzo alla foresta a cercare oro, come descritto ampiamente da Sebastiao Salgado, famoso fotografo brasiliano, che ha dedicato un approfondito reportage ai cercatori d’oro in Amazzonia. Una volta trovato, dall’oro vanno sottratte tutte le altre componenti minerali. Per farlo, servono sostanze molto tossiche all’ambiente, tra cui il mercurio che va a contaminare le acque grazie alle quali vivono le comunità indigene. Si decreta così la fine di questa comunità.
La domanda cruciale è: sta cambiando la legislazione in Brasile? Si sta davvero passando da una politica di conservazione ad una di sfruttamento in nome dello sviluppo? Oppure si è creato un clima di impunità?
“La legislazione non è facile modificarla – afferma il giornalista Araujo – poiché significa modificare la Costituzione. Tuttavia, Bolsonaro e il suo Ministro dell’Ambiente, che non era mai stato in Amazzonia prima dell’incarico, hanno svuotato tutti gli organismi che combattono le illegalità in Amazzonia. Se un presidente dice che l’Amazzonia non è un territorio intoccabile, anche se la legge non lo consente, in molti si sentono autorizzati a sfruttarla”.
Giulia Galdelli