Resa pubblica la nuova bozza della “Legge sulla protezione della fauna selvatica”. Previste minori restrizioni nei confronti degli allevamenti di animali selvatici con rischi maggiori per la salute pubblica globale. Dopo la pandemia, un passo indietro imperdonabile.
Era il 10 febbraio 2020 quando la Cina annunciò di voler revisionare la Legge sulla protezione della fauna selvatica, influenzata da quanto stesse emergendo sulla possibile origine del Covid-19. In meno di due settimane, il Comitato permanente annunciò severe restrizioni per l’allevamento di animali selvatici, nonché il divieto totale di consumo degli stessi come cibo.
Un passo avanti, prima
In questo rivoluzionario provvedimento, sebbene spinto da un momento storico particolare, gli ambientalisti videro la speranza di una legislazione nuova e più sensibile alla tutela della biodiversità. Infatti la prima bozza, pubblicata nel settembre 2020, definiva importanti modifiche che non eliminavano l’allevamento, ma prevedevano comunque un migliore controllo. Tuttavia, la seconda revisione smentisce i buoni propositi, poiché incentiva di fatto lo sviluppo di questa attività. Dunque, nonostante la pandemia, la Cina sembra non voler imparare nulla dal suo recente passato e fa un pericoloso passo indietro.
Temiamo che tali cambiamenti indeboliranno la supervisione e la protezione degli animali, con un impatto sulle popolazioni selvatiche”
Queste le parole dello Shan Shui Conservation Center, una ONG cinese dedicata alla conservazione delle specie e degli ecosistemi. Inoltre secondo la nuova bozza, l’allevamento di animali selvatici non avrà più bisogno di approvazione, basterà registrarsi e, qualora venissero riscontrate delle illegalità, apportare le correzioni richieste in un lasso di tempo definito. Questa leggerezza nella gestione di tali attività potrebbe avallare una serie di situazioni pericolose, non essendoci delle reali punizioni per gli agenti.
Il problema salute pubblica
La pandemia di Covid-19 ha sensibilizzato il mondo sul problema delle zoonosi, nonostante fossero una realtà nota già da tempo. Infatti alcuni virus, inizialmente non nocivi per l’uomo, vanno incontro a un processo noto come salto di specie. Se dunque diventano capaci di infettare l’uomo, le probabilità di diffondersi tra le popolazioni è altissimo, soprattutto nelle grandi metropoli.
Purtroppo nell’ultimo aggiornamento la Legge cinese parla di eliminare la frase “prevenire i rischi per la salute pubblica”, con un conseguente indebolimento anche delle possibilità di proteggere la fauna selvatica e tutelarci dall’insorgenza di nuove zoonosi.
“Il modo migliore per salvaguardare veramente la salute pubblica è lasciare che la fauna selvatica rimanga dove dovrebbe essere, che è il loro habitat naturale.”
Purtroppo un indebolimento dei controlli favorirà il mercato illegale e soprattutto il bracconaggio delle specie in via d’estinzione. Discordanti anche i pareri nel panorama scientifico, che vede scontrarsi ricercatori sostenitori del principio “non è scientifico considerare gli animali allevati in cattività come quelli che vivono allo stato brado” ed esperti estremamente preoccupati poiché “tali attività rappresenteranno una grave minaccia per la biodiversità in Asia”.
Un mercato da miliardi di dollari
Prima dell’introduzione delle restrizioni, l’allevamento degli animali selvatici era promosso dai Governi stessi, poiché alimentava un mercato particolarmente redditizio per il Paese. Invece, con il divieto assoluto di caccia, commercio e trasporto di fauna selvatica, nonché del consumo come fonte di cibo, centinaia di persone hanno perso il lavoro. Attualmente in Cina è illegale allevare 1.800 specie di animali considerate di importante valore ecologico, economico e sociale. Ad esempio, si annoverano nella lista:
- cani procione;
- ricci;
- zibetti;
- visoni
- cinghiali.
Queste decisioni hanno indubbiamente giovato alla salute pubblica globale, ma sono costate il lavoro a circa 14 milioni di persone e una perdita economica, che si aggira intorno ai 250 miliardi di yuan, ovvero 60 miliardi sterline.
Cosa succederà?
La grande sensibilità del pubblico verso il problema dell’allevamento di animali selvatici è un punto a favore delle ONG da anni impegnate per la tutela della biodiversità. Tuttavia, la Cina è nota per una gestione autonoma e spesso contro corrente delle attività di tutela ambientale, anche quando il rischio per la salute pubblica è reale.
Fino ad oggi, quanto verificatosi a seguito della pandemia ha fatto sperare in un’inversione di tendenza, ma le proposte attuali fanno svanire questo barlume di speranza.
In Cina la revisione di una Legge da parte del Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo comporta la produzione di tre bozze, quindi c’è ancora una possibilità di impedire questi anacronistici cambiamenti. Ad ogni modo il tempo rimane comunque poco, soprattutto se bisogna confrontarsi con realtà così particolari e poco inclini al dialogo.
Quando capiremo, a fatti e non a parole, che le scelte esercitate contro gli animali sono anche scelte contro di noi?
Decidere di non comprare e/o mangiare un animale selvatico può essere, per alcuni, una scelta etica dettata da motivazioni di varia natura, non necessariamente legate al desiderio di tutelare la biodiversità o la salute pubblica. Tuttavia la scienza ci insegna, ormai da tempo, che sviluppare una certa sensibilità verso la nostra Terra è una scelta doverosa e urgente per la salvaguardia di tutti gli esseri viventi, compreso il più colpevole di tutti, l’uomo.
Carolina Salomoni