L’11 novembre del 1906 nasceva Graziella Romano da tutti chiamata “Lalla”. Nata e cresciuta a Demonte, un piccolo paese in provincia di Cuneo, ha da sempre dedicato la sua vita all’arte che definiva “l’attività concessa all’uomo per amare la vita e il mondo”.
Immagini e parole
L’arte, in diverse forme, accompagna Lalla Romano fin dai suoi primi anni di vita e lei la accoglie con grande curiosità; la sua infanzia trascorre tra i colori e i suoni più diversi, nel canto dei suoi genitori, appassionati di Puccini, e tra i dipinti di paesaggi o le fotografie di suo padre. Maturando sperimenta varie forme d’arte, passando dalla poesia alla pittura e poi ancora alla scrittura in prosa e alla musica. Il passaggio tra le immagini e le parole scandisce la sua esistenza, lasciando sempre traccia del suo percorso: “Non sono divisa a compartimenti stagni: perciò non vorrei mai che si parlasse di queste cose [arte, scrittura] separatamente”. Attraverso un’instancabile ricerca artistica, Lalla Romano non smette mai di trovare i significati dell’esistenza più nascosti con una continua scomposizione del reale. Così anche quando ai dipinti e ai colori sostituisce le parole, prima con la poesia e poi con la narrativa, non cambia mai: rimane sempre fedele al suo mondo e, anche scrivendo in prosa, mantiene un’inclinazione poetica e pittorica con la scelta delle parole più evocative, preziosissime nella loro espressività.
La poesia nella prosa
L’autrice, ricordata soprattutto per le sue opere narrative e consacrata da un Premio Strega nel ’69, non vedeva – inizialmente – un valore artistico nella prosa. Essa, fedele alla poesia come strumento per rappresentare e cogliere la bellezza del mondo considerava la prosa incapace di farsi arte. A segnare un prima e un dopo nelle sue inclinazioni è la traduzione dei Trois Contes di Flaubert che Cesare Pavese le commissiona nel 1944. Lavorando a quest’opera la scrittrice scopre un volto nuovo nella prosa e a riguardo scrive: «La traduzione, non facile, di questa prosa semplice ed essenziale, mi consentì la straordinaria scoperta che la prosa può essere altrettanto rigorosa della poesia, anzi, sono la stessa cosa». L’autrice scopre un nuovo modo di esprimersi, dove l’immediatezza della prosa può convivere con il rigore stilistico e linguistico della poesia. Per questo nelle sue opere, caratterizzate da una lingua spesso lapidaria, sottrae il superfluo e ricerca quelle poche parole che contengano in sé la bellezza della forma e del significato.
Il passato e la memoria di Lalla Romano
I suoi dipinti, le fotografie, le poesie e i romanzi attingono al suo vissuto costruendo un dialogo tra il tempo del presente e quello passato che vive nel ricordo. L’operazione di regressione che compie la scrittrice non è mai nostalgica, essa attua un confronto tra i tempi con un atteggiamento sempre disincantato e scientifico. Vittorio Sereni attribuiva a Lalla Romano il metodo della memoria: “È un modo di arrivare al fondo delle cose aggirando, per cosí dire, le cose stesse: è un modo piú vivo, sia pure attraverso un aggiramento, di arrivare a rappresentare una realtà”. Sereni ha compreso che Lalla Romano non torna al passato semplicemente per farne una cronaca, né, come qualcuno l’ha accusata, per fuggire dal presente, ma perché nei suoi libri, che sono spesso indagini dentro di sé, il suo mondo è ricostruito per frammenti, sensazioni e situazioni che appartengono al passato. Indagando il suo vissuto, con la distanza che il tempo comporta, reinterpreta avvenimenti della sua vita riordinando il presente. La sua memoria non è mai solo cronaca autobiografica: è infatti nutrita delle successive riflessioni e del suo stesso superamento.
L’autrice riqualifica quindi il valore della memoria per chi scrive, il ricordo non è solo l’oggetto di una registrazione, ma è ciò che consente la rielaborazione del vissuto che diventa arte. Con la sua opera Lalla Romano è riuscita a mostrare che scrivere di esperienze proprie non significa essere poco fantasiosi, ma al contrario avere abbastanza fantasia per rendere i propri ricordi validi per qualunque lettore e qualunque tempo. Come afferma Montale: «Lalla Romano è uno di quegli autori che raccontano se stessi non per difetto di fantasia bensì per scrupolo di autenticità»
Le parole tra noi leggere
Lalla Romano raggiunge l’apice della sua popolarità nel 1969 quando, con Le parole tra noi leggere, libro largamente discusso per la sua originalità, vince la ventitreesima edizione del Premio Strega, presentata da Natalia Ginzburg e Vittorio Sereni.
Le parole tra noi leggere è un’opera coraggiosissima, definita spesso un libro sulla maternità è in realtà molto di più: è la confessione di una donna che pubblicamente, e con un crescente senso di colpa, nega il suo istinto materno e ne ricerca le cause. L’obiettivo originario di Lalla Romano era rappresentare il figlio Piero attraverso racconti vividi, frammenti di diari, lettere. Tuttavia attraverso questa ricerca quasi archeologica nella vita del figlio l’autrice si scontra con se stessa e con la sua coscienza. Il rapporto con Piero infatti non è pacifico: i due condividono un costante astio reciproco e sono l’uno l’avversario dell’altro in contrasti che non trovano mai il modo di esprimersi completamente. Per questo Le parole tra noi leggere: le parole sono “leggere” perché non hanno peso, sono incapaci di comunicare davvero, affidate a discussioni e provocazioni passeggere, esse si perdono ancor prima di veicolare un significato, anche quando sono d’amore. Impossibile raccontare del figlio e del suo problematico stile di vita senza registrare i loro litigi e i sensi di colpa della madre che si sente costantemente responsabile per il fallimento delle grandi potenzialità del figlio.
Il libro ha segnato l’epilogo del loro rapporto; Lalla Romano mettendosi a nudo nella sua coraggiosa posizione di anti-madre coinvolge il figlio Piero nella sua devozione all’autenticità. Di lui vengono raccontati, contro la sua volontà, gli aspetti più intimi e come riportato da Antonio Ria, il libro ha creato una ferita incurabile e un distacco profondo.
Ludovica Amico