L’abuso sessuale sugli uomini, una realtà che sprofonda nel silenzio

L'abuso sessuale sugli uomini

L’abuso sessuale sugli uomini viene percepito quasi inesistente nella nostra società, come se non fosse un problema da analizzare e indagare. Eppure c’è ed è anche molto diffuso, più di quanto si possa immaginare. Secondo un’indagine Istat pubblicata nel 2018 sono 3 milioni 754mila (il 18,8%) gli uomini che nel corso della vita hanno subito molestie. Mentre gli uomini vittime di una forma di molestia sessuale prima dei 18 anni sono 435.000, pari al 2.2 %. Gli autori delle molestie a sfondo sessuale sono in larga prevalenza uomini: lo sono per il 97% delle vittime donne e per l’85,4% delle vittime uomini. Tuttavia non sono pochi i dati che riportano abusi perpetrati da donne.

L’abusante può essere una persona conosciuta da poco, un partner, un amico, un familiare o un perfetto estraneo. Inoltre alcuni studi riguardo l’abuso sessuale sugli uomini distinguono tra i casi di stupro in cui gli uomini subiscono la penetrazione e quelli in cui l’uomo viene costretto a penetrare o a svolgere altre attività sessuali senza il suo consenso. Secondo una ricerca del Centers for Disease Control and Prevention del 2017 la violenza può avvenire mediante l’uso di forza fisica o perché la vittima è incapace di esprimere un consenso esplicito, ad esempio, è incosciente o sotto l’effetto di alcool e droghe. Per questo tipo di violenze, è stato riscontrato che per i perpetratori sono spesso le donne.

È difficile quantificare e raccontare l’abuso sessuale sugli uomini

I dati ufficiali risultano insufficienti per raccontare la questione. Questo accade perché per l’uomo abusato lo stigma che deve affrontare è molto pesante. Diventa un marchio d’infamia e spesso, a causa dello stereotipo di virilità e della quasi certezza di non essere creduti, non si denuncia.

C’è tanta paura e vergogna di parlarne, complice la cultura machista della nostra società secondo cui l’uomo deve essere forte e in grado di contrastare ogni tipo di attacco. Si ha paura di perdere gli affetti, il proprio lavoro, la reputazione. Ed è per questo che l’abuso sessuale sugli uomini finisce per diventare una realtà dimenticata, non solo dai media, ma per l’intera società. Senza poi contare i devastanti effetti sul versante psicologico.

Un fenomeno banalizzato perfino dagli stessi organi d’informazione che riportano articoli molto completi dal punto di vista dei dati e delle fonti, ma che lasciano indurre che la violenza sugli uomini essendo inferiore di numero rispetto a quella della donna, sia meno importante. Quasi che l’una dovesse per forza delegittimare l’altra. E invece l’idea che deve passare è che ogni violenza psicologica, fisica o sessuale è grave e bisogna darle voce, denunciarla a gran voce ed educare noi stessi e gli altri a riconoscerla.

Smontiamo gli stereotipi più frequenti

A causa di molti pregiudizi, il numero di denunce di abusi sessuali da parte di uomini è davvero basso. Per questo è fondamentale contrastare gli stereotipi diffusi. È importante ricordarsi sempre:

Reazioni emotive all’abuso

Alcune delle conseguenze dell’abuso possono essere ansia, depressione; disturbo da stress post-traumatico; dipendenze comportamentali o da sostanze; senso di colpa e vergogna per non essere stato in grado di contrastare l’abuso, soprattutto se la vittima ha reagito con un’erezione o eiaculazione. Impossibilità di rilassarsi, difficoltà a dormire;  sentirsi “poco uomini” e incapaci di controllare il proprio corpo;; pensieri e comportamenti suicidari. Isolamento e distacco da relazioni e amicizie.

La psicoterapia può essere una soluzione, ma non è sufficiente. Lo stigma e la vergogna possono impedire agli uomini abusati di parlare del trauma in terapia. Per questo è importante ascoltare la persona abusata senza giudicare. Attualmente in Italia ci sono pochissime strutture che accolgono gli uomini abusati e questo a causa della nostra società patriarcale. Pensare che il patriarcato non c’entri nulla con la questione è un gravissimo errore, in quanto questo danneggia tutto il sistema di coloro che non aderiscono al modello di “vero uomo”. Per cui combattere il patriarcato non significa combattere contro il genere maschile, come comunemente si pensa, ma andare contro le ingiustizie e i modelli e ruoli di genere che gravano anche sull’uomo.

Lo stato di sofferenza legato al Military Sexual Trauma.

All’interno della cultura machista dell’esercito, ammettere di essere stati stuprati è un’insopportabile umiliazione, che garantisce  spesso l’impunità al colpevole.  E molto spesso capita che gli abusi se scoperti, vengano considerati una semplice violazione della condotta e non un reato perseguibile penalmente.

Gli effetti del Military Sexual Trauma (MST), espressione utilizzata dal Dipartimento per i veterani per indicare lo stupro, l’aggressione e la molestia sessuale durante il servizio, sono devastanti. Le vittime sprofondano per anni nella vergogna, nella paura e molti di loro finiscono per diventare senzatetto, per uccidersi o comunque per dipendere da alcol e droghe. La violenza è infatti commessa da qualcuno in cui si dovrebbe poter riporre la propria fiducia, come i propri colleghi o il proprio comandante. E questo comporta ritrovarsi a dormire fianco a fianco, ogni notte, con il proprio aggressore. Ma non solo, pur riuscendo ad ottenere il congedo si fa molta fatica inseguito a trovare un lavoro, nessuno vuole assumere un soldato allontanato con disonore.

Molti soldati hanno sviluppato gravi problemi, fino a non riuscire più ad avere rapporti sessuali e affettivi equilibrati o stabili. Nell’esercito americano si stima che delle 20.000 aggressioni sessuali avvenute nel 2016, solo circa 6.200 vittime donne abbiano riferito in merito alle violenze subite. Solo in un caso su dieci si è andati al processo e la maggior parte delle vittime sono state costrette ad uscire dal servizio. Con un tasso di condanna del 4%, solamente il 17% delle vittime di sesso maschile riferiscano i crimini di aggressione sessuale subiti. La maggior parte delle vittime di sesso maschile impiegano tra i 20 e i 40 anni prima di riconoscere il crimine e parlarne con la famiglia, gli amici o i medici.

 

Roberta Lobascio

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