La W Series è finita in anticipo, la conclusione improvvisa ha messo, ancora una volta, in discussione la parità di genere in ambito sportivo: è da 30 anni che una donna non si qualifica per la Formula 1.
La missione della W Series
La W Series, dove W si riferisce a women, è un campionato di corsa automobilistica che ha avuto inizio nel 2019 per dare la possibilità alle donne di correre in una propria classe. La FIA, Fédération Internationale de l’Automobile, sostenendo la serie, ha voluto offrire alle pilote un nuovo modo per abbattere le barriere finanziarie di accesso alle competizioni mondiali. La vincitrice riceve una somma di denaro pari a 500.000 dollari, i punti per la Superlicenza di Formula 1 e una visibilità senza precedenti. Quest’anno però la W Series è finita in anticipo e le barriere che si propone di superare si sono manifestate con chiarezza.
La missione di Catherine Bond Muir, fondatrice e CEO del campionato, è quella di garantire pari possibilità a uomini e donne nell’ambito dell’automobilismo sportivo, non limitandosi alle pilote: si pone anche l’obiettivo di incrementare il numero di donne impiegate nelle officine o nei laboratori delle professioni di supporto alle gare.
I dirigenti della W Series, come si legge sulla pagina ufficiale, vogliono accelerare il cambiamento che permetterà di raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030 sulla parità di genere, vogliono “vedere le donne di tutto il mondo correre ai vertici del motosport, compresa la Formula 1”. Inoltre puntano alla creazione di una competizione fondata unicamente sul talento, per questo le auto riservate alle pilote vengono sorteggiate a ogni gara per evitare squilibri tecnici.
Un triste epilogo
Nonostante l’ammirevole ideologia dietro la competizione, qualcosa è andato storto nel 2022: la W Series è finita in anticipo per il ritiro di uno sponsor statunitense che, oltre a mettere in discussione la stagione stessa, ha messo anche a rischio il montepremi per la vincitrice. La mancanza di finanziamenti è stata decisiva e l’evento di quest’anno potrebbe preannunciare l’interruzione definitiva della competizione, gli organizzatori si trovano infatti in una situazione economica molto tesa, come era stato preannunciato a Singapore.
Mentre sembra che altri sport stiano compiendo passi importanti per l’equità di genere, nell’ambito delle corse automobilistiche le risorse investite per le donne sono sempre minori rispetto a quelle destinate agli uomini. Il problema è stato sollevato da Bond Muir che ha affermato che trovare sponsor sia difficile anche per i piloti, ma che per le donne, da sempre, lo è di più. Appare allora più amara la fine del campionato se si pensa che dietro potrebbero celarsi disparità di genere.
Le pilote sono state avvisate del deludente epilogo a Singapore, ma pubblicamente Bond Muir ha annunciato l’interruzione il 10 ottobre e, nello stesso giorno, ha condiviso un Tweet ufficiale: “è stata presa la decisione di concentrare l’attenzione sul processo di raccolta fondi a lungo termine, per consentire la longevità della serie nel 2023 e oltre”.
Le ultime tre gare, che si sarebbero dovute svolgere ad Austin, in Texas, e a Città Del Messico, non si terranno e Jamie Chadwick, che era 50 punti di vantaggio sulla rivale olandese Beitske Visser, ha vinto la serie, senza aver potuto disputare la finale.
La campionessa britannica aveva già vinto due campionati di fila e secondo Bond Muir anche questa vittoria è lecita perché Chadwick ha dominato anche questo campionato: secondo il regolamento della serie per decretare una campionessa sono necessarie 6 gare e in questa stagione le pilote ne hanno corse 7.
La W Series aiuta o segrega le donne?
Se l’interruzione della serie ha suscitato diverse polemiche, anche il suo inizio 3 anni fa aveva originato un acceso dibattito: alcune pilote, che per questo non hanno aderito al progetto, hanno visto in questa iniziativa una ghettizzazione delle donne che (teoricamente) sono libere di gareggiare con i colleghi di sesso maschile. Dal loro punto di vista, la W Series conferma che le pilote devono gareggiare in un posto diverso dai colleghi e legittima una segregazione ingiusta.
Pippa Mann, una pilota britannica, su Twitter aveva reagito all’annuncio della W Series accusando gli organizzatori di isolare le donne invece di sostenerle: “sono profondamente dispiaciuta nel vedere che un tale passo indietro, di portata storica, abbia avuto luogo in questi anni.” A queste polemiche aveva risposto Bond Miur sostenendo che, al contrario, la serie ha proprio l’obiettivo di portare le donne a gareggiare contro i maschi e abbattere le barriere che lo impediscono. A sostegno della sua tesi ha dichiarato che alcune pilote della W Series sono state ammesse nelle accademie dei team di Formula 1, come Chadwick alla Williams, Jessica Hawkins all’Aston Martin e Abbi Pulling all’Alpine.
Proprio nel 2022, quando la W Series è finita in anticipo per l’improvviso ritiro di uno sponsor, si è compiuto il trentesimo anniversario dell’ultima volta in cui tra i partecipanti alla Formula 1 c’è stata una donna; per questo bisogna lavorare ad ridurre il gap tra uomini e donne e non negare che, ad oggi, uomini e donne nelle corse automobilistiche hanno storie e possibilità molto diverse.
La storia delle donne nella Formula 1
Dal 1950, quando la Formula 1 ha avuto inizio, solo 5 donne hanno preso parte al grande Circus. La prima fu Maria Teresa De Filippis, che esordì in occasione del Gran Premio di Monaco, ma non si qualificò. La sua carriera non fu fortunata e ricevette anche diverse discriminazioni per il suo genere: durante il Gran Premio di Reims il direttore di gara francese le impedì di gareggiare sostenendo che che le donne dovrebbero indossare il casco solo dal parrucchiere.
La seconda donna fu Maria Grazia Lombardi, conosciuta come Lella, ancora oggi l’unica ad aver conquistato dei punti nel campionato mondiale. Debuttò nel 1974 in Gran Bretagna, ma fece la storia due anni dopo in Spagna. Nel circuito quell’anno ci furono numerosi incidenti e la gara fu interrotta al ventinovesimo giro; a causa dell’interruzione, per la prima prima volta furono dati punti dimezzati e così Lella, contro tutti i pregiudizi, conquistò un mezzo punto leggendario.
In quello stesso Gran Premio gareggiò anche la britannica Divina Galica, campionessa olimpica di sci alpino, che però non riuscì a qualificarsi; ci riprovò anche nelle gare successive in Argentina e in Brasile, ma non accedette mai alle gare principali.
Desiré Wilson, la quarta pilota ad aver preso parte ai campionati di Formula 1, fu la prima a non provenire dall’Europa: la pilota sudafricana provò, senza riuscirci, a qualificarsi in Gran Bretagna nel 1980 e poi ancora l’anno successivo in un campionato in casa che fu cancellato per ragioni politiche.
L’ultima donna ad aver partecipato, ormai 30 anni fa, a un campionato di Formula 1 fu l’italiana Giovanna Amati che però non riuscì a qualificarsi nei primi tre Gran Premi della Stagione in Sud Africa, Messico e Brasile e per i risultati insoddisfacenti fu sostituita.
La speranza è che in futuro altre donne percorrano i circuiti della Formula 1 e il contributo della W Series, che permette di acquisire i punti necessari per qualificarsi, sembra essenziale. Bisogna attendere il 2023 per vedere se le promesse di Bond Muir si realizzeranno, con la speranza che nuovi sponsor credano nell’importanza di sostenere la presenza femminile in pista e che il campionato femminile possa un giorno ricominciare.