“La vita, amico, è l’arte dell’incontro”: così ci confida Vincius de Moraes nella sua Samba delle benedizioni. Come afferma Aristotele, l’uomo è un animale sociale, che realizza la sua natura in relazione agli altri. Il filosofo contemporaneo Jullien ha analizzato il tema dell’incontro, arrivando ad affermare che incontrare vuol dire esistere. Nella nostra società, sempre più interconnessa, i contatti si moltiplicano. Ma cosa vuol dire davvero incontrare gli altri e quindi noi stessi?
Forse il modo migliore per iniziare un discorso sul valore dell’incontro è proprio con un album di Vinicius de Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo pubblicato nel 1969: La vita, amico, è l’arte dell’incontro. E questo titolo, che raccoglie l’essenza del progetto musicale, ha un significato particolarmente pregnante. Questo stesso album, infatti, è un incontro. Un incontro tra la poesia e la musica, tra versi letti e versi cantati, tra il portoghese e l’italiano. Un misto di melodia malinconica, di saudade brasiliana, di toni dolci e subito dopo cupi e graffianti. Queste sono le sfumature in cui si declina un messaggio di fondo di saggezza e amore per la vita.
Nella prima canzone, Samba delle benedizioni, Vinicius de Moraes inizia cantando a ritmo di samba; poi si apre ad una conversazione con l’ascoltatore, che chiama amico.
Condivide con lui insegnamenti e consigli sulla vita. Così gli confida:
La vita, amico, è l’arte dell’incontro.
È il titolo dell’album, e una frase che sembra apparentemente semplice. Nella società di oggi gli incontri avvengono in continuazione. Grazie ad internet e ai social media entriamo costantemente in contatto con le vite degli altri. Eppure, la sensazione è che si rimanga sempre più in superficie. Durante questa pandemia, stiamo capendo sempre di più che i rapporti fondamentali si contano sulle dita di una mano. Si sente l’esigenza, dunque, di tornare a pensare agli incontri in maniera più profonda.
A livello profondo, cos’è l’incontro?
Si è interrogato al riguardo François Jullien, uno dei maggiori sinologi e filosofi francesi viventi, nel suo libro L’apparizione dell’altro. Lo scarto e l’incontro. Jullien parte dalla constatazione che l’uomo passa la vita intera in attesa di qualcos’altro, di qualcun altro che sia davvero altro. È la ricerca dell’alterità a stimolare il nostro pensiero, la nostra arte, la nostra vita in generale.
Questo totalmente altro al quale aspiriamo non va cercato nell’opposto a noi, nel totalmente remoto. Al contrario, secondo Jullien, scopriamo l’altro in ciò che è vicino, molto vicino a noi.
Per permettere che questa alterità si manifesti è necessario abbandonare la nostra tendenza naturale ad assimilare, a rendere simile ed omogeneo ciò che ci circonda per poterlo comprendere meglio. Bisogna invece disassimilare, far emergere quello che Jullien chiama scarto: ciò che rompe la continuità o l’apparente omogeneità tra cose che sembrano simili tra loro, ma solo all’apparenza. Solo rendendosi conto dello scarto che ci separa da ciò che è apparentemente simile a noi può avvenire l’incontro.
Nell’incontro sorge dal di fuori un altro che non si preventivava o, quantomeno, che non si poteva completamente immaginare e che ora ci fissa frontalmente, faccia a faccia.
L’incontro avviene nell’istante, nel faccia a faccia tra due individui. Perciò, anche se organizzato, mantiene sempre dentro di sé una componente di imprevisto, scopriamo qualcosa che non potevamo prevedere del tutto.
Proprio in virtù della sua frontalità e della sua imprevedibilità, l’incontro conserva sempre dentro di sé la possibilità dello scontro, del confronto. Lo stesso Vinicius de Moraes, nella Samba delle benedizioni, completa la sua frase “La vita, amico mio, è l’arte dell’incontro” aggiungendo “malgrado ci siano tanti disaccordi nella vita”.
L’incontro rivela così la sua contraddittorietà: da un lato, mantiene lo scarto, l’alterità che ci separa dall’altro; ma al contempo ci pone in presenza, ci porta nell’intimo di chi abbiamo di fronte. Spetta a noi la decisione di abbassare le barriere, aprirci, per permettere a chi ci sta di fronte di entrare nel nostro spazio. Jullien afferma:
Nell’incontro, ciascuno è, in qualche misura, privato di sé dall’altro, altrimenti non si avrebbe alcun incontro; la chiusura che perimetra l’interno di un “sé” subisce l’effrazione esistenziale da parte dell’Esterno.
Aprirsi all’incontro è sempre una scelta. Dipende da quanto possiamo o sappiamo far varcare la chiusura che ci sprofonda nel nostro io. Jullien afferma che si può passare una vita intera accanto ad una persona senza però incontrarla mai veramente. Questo avviene quando l’altro resta chiuso, rinchiuso, non si lascia incontrare. Non importa quanto tempo si è passato con una persona: l’incontro avviene solo se ciascuno lo azzarda giorno dopo giorno, passo dopo passo.
Per dirlo con le parole di Jullien, l’incontro consiste nel “disorientamento del sé ad opera dell’Altro”. È solo tramite l’incontro che riusciamo a trarci fuori dalla chiusura del nostro sé, promuovendoci a soggetti, iniziando a e-sistere.
La distanza che si scava mi permette di scoprire un infinito dell’Altro; e anche che non esiste infinito se non tramite, e dentro, quell’esterno che l’Altro apre: che solo ciò che viene dall’Altro può rompere la chiusura nella quale si lascia costringere l’io e, innalzandolo fuori di sé, far accedere all’e-sistenza – quello che potremmo definire l’inaudito nell’Altro.
L’incontro con l’altro, in cui si abbassano le difese, rompe il perimetro, la chiusura dell’io. Solo l’Altro ci apre ad un esterno, ad un’alterità, ad un infinito che scontrandosi con il nostro sé, ci permette di affermare noi stessi ed elevarci a soggetto. In questo modo esistiamo. Esistiamo in quanto incontriamo.
È interessante il concetto di “inaudito nell’altro”. Il totalmente Altro, secondo Jullien, non è da cercare nell’opposto, ma è massimamente prossimo e scarsamente demarcato, difficile da cogliere. Ed è proprio questo che, quando avviene l’incontro, l’Altro ci appare ancora più vertiginoso, assolutamente inaudito. L’Altro, non potendo essere assimilato, resta sempre inaccessibile, ci si può rapportare a lui solo in maniera fuggevole. Proprio per questo, l’Altro ci scuote profondamente nell’intimo. Come afferma Jullien: “Nel più dentro di sé è l’Altro in quanto, nell’incontro, ho scosso dalla sua assise, quindi dalla sua base, il sé”.
Questo discorso tocca profondamente il tasto dolente di una società cosiddetta social e interconnessa. Gli incontri che sembrano essere costanti e continui sono divenuti, infatti, sempre più superficiali e custodiscono poco del significato profondo dell’incontro.
Assistiamo ad un generale processo di superficializzazione di tutti gli ambiti della nostra vita. Tuttavia, quando si tratta dell’incontro, il prezzo da pagare è alto. Si tratta di banalizzare uno degli aspetti più profondi della nostra natura umana di animali sociali. Svilire gli incontri, viverli in maniera superficiale, significa perdere l’occasione di trarci fuori da noi stessi e quindi esistere pienamente.
Si esiste solo in quanto si può incontrare: se smetto di incontrare, la mia vita si esaurisce. Oppure, potremmo dire, la mia vita si intensifica solo in relazione a ciò che sono ancora in grado di incontrare.
Se l’uomo è animale sociale e realizza la sua natura entrando in contatto con l’altro, chiudersi all’incontro vuol dire privarsi di un aspetto fondamentale dell’esistenza. Nell’incontro con l’altro, scopriamo quel diverso da me, quell’infinito sorprendente, che ci permette di capire chi siamo.
Come si spiega questo senso di vuoto e solitudine, in una società continuamente interconnessa come quella di oggi? Nella società odierna, il problema non è la quantità, ma la qualità degli incontri. Assistiamo ad un grande paradosso: ci incontriamo continuamente, ma non ci incontriamo davvero. A volte, non siamo più nemmeno capaci di incontrare, abbiamo paura del faccia a faccia che il vero incontro significa. E per faccia a faccia non si intende una mera presenza fisica dell’uno di fronte all’altro, ma la disposizione d’animo ad abbassare le difese, permettendo di accedere al nostro intimo. Solo recuperando la profondità dell’incontro e affrontando i rischi e i disaccordi che implica, la nostra vita si intensifica e si eleva a vera esistenza.
Giulia Tommasi