Il contesto storico
Agli inizi del Novecento i movimenti per i diritti delle donne ottennero importanti conquiste. La Prima guerra mondiale fornì una spinta decisiva, poiché le donne furono la principale forza-lavoro, dovendo sostituire gli uomini impegnati al fronte. Le donne presero coscienza del peso all’interno della società e così pretesero il riconoscimento del valore del loro lavoro con una partecipazione più attiva alla vita politica. Basti pensare alla conquista del diritto di voto in Russia (1917), nel Regno Unito e nella Germania (entrambi i Paesi nel 1918), e negli Stati Uniti (1920).
Tuttavia, dopo questo periodo di successi i movimenti delle donne conobbero un periodo di crisi, dovuto soprattutto alla fatica di riconoscere e colmare la differenza tra un’uguaglianza giuridico-formale e una sostanziale. Solo il secondo dopoguerra riuscì a ridare vigore ai movimenti, stimolati da nuove proposte e riflessioni che mostrarono la peculiarità della visione femminista della guerra, e l’importanza di un punto di vista alternativo all’interno della società, differente da quello maschile.
Infatti, durante questa crisi identitaria fu attiva una delle scrittrici più incisive all’interno del filone culturale femminista: Virginia Woolf. Se in precedenza i movimenti delle donne si erano orientati verso un’uguaglianza totale con gli uomini, l’autrice inglese – testimone degli orrori a cui l’educazione maschile aveva condotto con la Grande Guerra – pretese che la società consentisse alle donne di esprimere la loro individualità, attraverso forme di agire e di comunicare differenti.
La guerra nelle opere e nella vita di Virginia Woolf
L’orrore della guerra che stravolge le vite di tutti gli individui è una tematica ricorrente nei romanzi di Virginia Woolf. L’autrice l’analizza raramente in maniera diretta, ma essa permea l’opera come una presenza spettrale che aleggia sulle vite dei personaggi, si abbatte su di loro, oppure li tormenta ancora.
Così, nel romanzo “Gita al faro” (1927) la tranquilla vita della famiglia Ramsay si lacera a causa di una serie di lutti, tra cui quello di Andrew, il primogenito morto in guerra. Oppure la celebre figura di Septimus Warren Smith in “Mrs. Dalloway” (1925) veterano di guerra che soffre di disturbi da stress post-traumatico (Shell Shock). L’uomo, tormentato dai ricordi del suo amico morto sotto il suo sguardo, si getta dalla finestra davanti agli occhi della moglie. Infine, “Tra un atto e l’altro” (1941, pubblicato postumo) narra di una rappresentazione teatrale che si svolge in una piccola cittadina inglese poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
È evidente la tensione tra la dimensione individuale e quella sociale. Da una parte, i personaggi di questi romanzi conducono le loro vite, ciascuno con le proprie difficoltà e i propri progetti. Ma dall’altra parte devono fare i conti con i giochi di potere delle nazioni, che si ripercuotono su ogni strato, sconvolgendo le vite dei cittadini, strappando i legami affettivi e ferendo i loro spiriti. Nessun lasso di tempo può cicatrizzare queste ferite. La normalità a cui i personaggi cercano di fare ritorno, come nel caso dei sopravvissuti della famiglia Ramsey, è solo apparente. Si può cercare di andare avanti, interiorizzando il lutto e rammendando il proprio spirito con toppe raffazzonate che mascherano appena l’incurabile sofferenza.
Ma le stesse disgrazie che colpiscono i protagonisti dei suoi romanzi affliggono anche Virginia Woolf. Nel 1937, durante la Guerra Civile spagnola, muore il nipote Julian Heward Bell, figlio della sorella Vanessa. A nulla erano valsi i tentativi delle due donne di dissuadere il giovane a partire, e per molto tempo la scrittrice inglese dovrà stare al fianco della sorella. La rabbia e il dolore del lutto saranno canalizzati in un saggio, vero e proprio manifesto della differenza femminile e della visione femminista della guerra: “Le tre ghinee”.
La questione femminile e il dominio maschile
Sono due i saggi che Virginia Woolf dedica alla condizione femminile, rivolgendosi in particolare alle donne di classe media: “Una stanza tutta per sé” (1929) e “Le tre ghinee” (1937). Nel primo l’autrice risponde ad un quesito preciso: malgrado le conquiste dei movimenti per i diritti delle donne, perché non c’è una vera e propria tradizione di scrittrici? Il motivo è semplice: le condizioni materiali sono sempre mancate.
Il dominio maschile ha subordinato le donne al ruolo di specchio per i mariti, fratelli, padri… e pertanto la loro vita si è svolta in funzione degli uomini. Le donne dovevano solo restituire un’immagine amplificata dell’ego maschile, e ogni attimo della loro vita doveva quindi essere dedicato all’uomo.
Ciò ha portato intere generazioni a rinunciare alle proprie vocazioni. La sorella non andava a scuola per farci andare il fratello, la moglie doveva dedicarsi alla cura della casa e della famiglia… ogni donna doveva impiegare il proprio tempo per il bene dell’altro. Un “altro” sempre maschile.
Per dare vita a una vera tradizione di scrittrici, c’era quindi bisogno di un cambiamento in primo luogo materiale: “una stanza tutta per sé e 500 sterline di rendita l’anno”. Queste erano le condizioni, secondo Virginia Woolf, necessarie per un’indipendenza che garantisse alla donna di coltivare la sua vena artistica.
La visione femminista della guerra: una pratica maschile
Il secondo saggio è incentrato sul tema della guerra. È qui che la differenza rispetto all’altro sesso assume un significato positivo. La vena guerrafondaia delle nostre istituzioni è presentata come il risultato dell’educazione maschile, che vede il conflitto armato e l’oppressione come l’unico strumento di risoluzione degli attriti. Alle donne non resta che guardare impotenti mentre i propri affetti si fanno a pezzi vicendevolmente. Ma non solo, alle donne è anche chiesto di appoggiare questo sistema.
Il saggio ha una forma romanzata. L’autrice immagina di ricevere tre lettere per delle donazioni: una da parte di un’associazione pacifista, per finanziare iniziative contro la guerra sempre più vicina; un’altra per gli istituti di istruzione femminile; e infine un’associazione per l’inserimento delle donne nell’ambito delle libere professioni. Donerà quindi tre ghinee.
La prima ghinea andrà all’istruzione femminile. Tuttavia, Virginia Woolf chiede che qui si insegni un’educazione differente rispetto all’arte di «dominare sugli altri, […] di accumulare terra e capitale» come all’interno degli istituti maschili. L’educazione femminile dovrà promuovere proprio quel punto di vista di chi ha sempre vissuto al margine. Memori dell’oppressione subita, si coltiverà l’arte di «comprendere la vita e la mente degli altri». Solo attraverso un’istruzione alternativa le donne potranno smettere di essere complici delle violenze maschili.
La seconda ghinea spetta all’associazione per l’inserimento delle donne nel mondo professionale. Ancora una volta, la richiesta è che quest’ultime portino il loro modo di sentire, la loro differenza, all’interno dell’ambito lavorativo. Rigettando la figura di potere patriarcale, potranno operare trasformazioni che mirano a spezzare la catena di potere centralizzante. Infatti, l’autrice delinea una “Società delle Estranee”, ossia un’associazione femminile priva di sedi, comitati, segreterie, senza alcun bisogno di fondi… un modo radicale e alternativo di pensare la politica, che ispirerà i movimenti delle donne del ’68.
La terza e ultima ghinea sarà devoluta all’associazione pacifista maschile. L’obiettivo è comune, ma i metodi differenti. La visione femminista della guerra evidenzia la necessità di un cambiamento in ambito privato, non solo pubblico. Attraverso pratiche creative, non solo critiche.
Una riflessione ancora attuale
L’invito di Virginia Woolf a coltivare la differenza e farla proliferare nella nostra società ha avuto grande influenza nelle riflessioni femministe successive. Purtroppo, non possiamo dire di avere realizzato totalmente il suo desiderio. Sebbene esistano numerose associazioni e centri che pratichino le attività creatrici nelle dimensioni prospettate dall’autrice inglese, è anche facile notare come la cultura patriarcale sia ancora ben radicata nella nostra società.
La visione femminista della guerra non è riuscita ad attecchire questo triste rituale della società umana. Le guerre attuali ci scandalizzano ancora per la loro violenza. I bombardamenti a tappeto sui civili coprono le voci di chiunque chieda un cessate il fuoco, e i politici portano avanti la retorica della guerra totale. Si prosegue finché il nemico non ha più la forza di rialzarsi, nemmeno per tendere la mano. Invece di comprendere la vita si impone la morte.
Il femminismo istituzionalizzato perde la sua carica sovversiva e tende sempre di più a conformarsi a pratiche liberali e modelli maschili. Basti pensare all’attuale governo italiano. La Presidente Giorgia Meloni incarna alla perfezione il timore di Virginia Woolf: la donna che fa carriera soltanto omologandosi all’immagine del patriarca che accentra il potere.
Tuttavia, gli ultimi decenni hanno anche visto una moltiplicazione delle differenze. Le teorie del gender attuali rivelano che la dicotomia maschio-femmina risulta fin troppo limitante, e evidenzia il bisogno di dar voce a un coro di timbri differenti che fino ad ora non avevano avuto modo di farsi sentire. Ciò dimostra che malgrado l’impegno del sistema patriarcale di fagocitare il “diverso” nei suoi modelli spersonalizzanti e omologanti, l’individualità umana presenterà sempre un nuovo carattere estraneo ed irriducibile, fino a quando le catene del potere patriarcale si spezzeranno.