La trasversalità del pregiudizio
Abbiamo, oggigiorno, scarse capacità interpretative: formalmente siamo immersi in un mondo di simboli ma anziché interpretarli ne siamo avvinti.
Un altro fenomeno interessante consiste nell’ansia di attribuzione di significato, un fenomeno che ci fa presumere di dedurre prima di conoscere. Il primo fattore ha origini bulimiche – in fondo abbiamo fame da sempre di significati, ma oggi preferiamo esserne travolti piuttosto che gustarli -, il secondo invece è il prodotto da una sostanziale ignoranza, ormai strutturata in “metodo”, frutto oltretutto di una presunzione immotivata, cioè quella di credere di saper cogliere al volo un contesto e i significati che esso porta con sé.
Il colpo d’occhio “ahinoi” è un talento e i talenti si contano sempre più sulle dita di una mano, e nessuno immagina che anche il talento va alimentato e raffinato col tempo, anche quello costa fatica e rinunce.
In definitiva sembra che il nostro “tatto” intellettivo stia perdendo progressivamente sensibilità a favore di un grossolano: “Ah, non mi dire più niente, ho capito tutto”, nei casi più manifesti e diretti, mentre in quelli più subdoli il tutto si traduce in un presuntuoso quanto sottaciuto pregiudizio pronto a deflagrare appena ci si presenta l’occasione di sventolarlo via social al mondo come dei rimbambiti.
Un dettaglio di dimensioni subatomiche può arredare l’universo, tipo l’ elettrone in un atomo d’idrogeno, ma a noi piace sempre più semplificare fino al punto che la semplificazione arriva a sostituire, col suo grezzo bagaglio pregiudiziale, ogni sfumatura di significato. Crediamo di esser ricchi e invece ci impoveriamo.
Detto in talleri, questa è sempre più l’epoca di un sincretismo superficiale dettato perlopiù da stimoli e nulla più. Confondiamo sempre più spesso la reazione con l’azione; siamo più simili a composti chimici immersi in una soluzione con la quale reagiamo di continuo e sempre meno ci rendiamo conto che questa “reazione” non è il frutto di un atto volontario o razionale, ma solo un riflesso istantaneo dei nostri radicati pregiudizi nei confronti di ciò che ci circonda. Una sorta di “Sussunzione subitanea” e spesso erronea e inadeguata.
Viene ucciso un carabiniere mentre fa il suo dovere, muore accoltellato: non sappiamo ancora niente, ma la dinamica e il contesto sociale subito ci indicano un’ interpretazione dei fatti (ovviamente la più semplicistica perché il semplice è ben altra cosa). Neanche il tempo di informarsi e immediatamente sui social si dividono tra anti- immigrati razzisti pronti a gridare allo “sporco negro”, e in difensori dei diritti dell’uomo che tengono a precisare di non fare mai di tutta l’erba un fascio. Ma entrambe le fazioni – seppur opposte – partono da un presupposto interpretativo e pregiudiziale tristemente comune, e cioè che questo ragazzo in divisa sia stato ucciso da africani irregolari venuti sui barconi. Non solo immaginano ma “già sanno” chi può esser stato.
Salvini affila la lama della sua propagandistica ignoranza e si prepara per la sua diretta Facebook: già ha la bava alla bocca al pensiero di poter inasprire gli animi contro l’immigrato, la Meloni invece è già partita in quarta e se la prende – senza sapere niente di niente – con dei fantomatici maghrebini in fuga come i suoi neuroni. Dall’altro lato del mondo anche Saviano si premura di dichiarare sui social che questo efferato delitto non dovrà essere strumentalizzato o preso a pretesto dalle destre per continuare a prendersela con gli immigrati.
Tutto questo pandemonio di supposizioni e dichiarazioni esplode e diventa virale senza che nessuno dei protagonisti succitati sia realmente informato sugli eventi, nessuno sa niente se non che un carabiniere in pattuglia è stato accoltellato a morte. Hanno parlato senza sapere, supposto senza conoscere, reagito credendo pretestuosamente di “agire”.
Alla fine due ragazzi statunitensi confessano di aver brutalmente ucciso per strada un bravo ragazzo mentre faceva il suo lavoro per cento miseri euro. Nessuno può più strumentalizzare niente, né da un lato e né dall’altro; è solo un ragazzo morto.
Chi di noi non è stato oggetto di pregiudizio? Ancora di più chi di noi non ha agito in modo pregiudizievole? Nessuno ne è esente, e spesso queste facili quanto miserrime presunzioni si rivelano del tutto immotivate. Non esistono categorie esenti, solo individui che credono di esserne immuni, forse i peggiori, ma loro non lo sanno … sono superiori.
Non esiste ambiente dove tali “fenomeni intuitivi” e “profeti a priori” del pregiudizio non si insinuino. Dall’ufficio finanziario agli amanti del crudismo spiritualista del corso del mercoledì di autoconsapevolezza tantrica, siamo circondati da supponenti “io so” e da orientaleggianti “questa è la strada giusta”.
In fondo tra quello che ti dice: “io corro nudo nei campi al solstizio d’estate per ricongiungermi col sole senza protezione solare”, e quello che ingabbiato in un cinico colletto bianco si vanta di sapere come va il mondo perché lo domina con la sua crudele furbizia, non vedo poi tanta differenza. Alla fine fanno tristezza tutti, forse anche io… ma almeno tento di ragionare e sapere prima di parlare. Provarci non costa niente.