Paolo Desogus
Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbona di Parigi
Repubblica ha pubblicato la classifica dei migliori licei d’Italia, rinnovando una tradizione ormai onnipresente: tutto, dai ristoranti ai film, dalle città alle scuole, viene misurato e ordinato. Le classifiche scolastiche, però, non sono solo una semplice guida per aiutare nella scelta di un istituto. Nascondono un significato più profondo e insidioso: trasformano l’istruzione da diritto collettivo a prodotto individuale, piegando il senso della scuola alle logiche del mercato e della competizione.
Repubblica ha tirato fuori la classifica dei migliori licei d’Italia. Del resto, ormai, c’è una graduatoria per tutto. Ogni cosa è sottoposta a valutazione, a un giudizio, a un voto. Dai ristoranti, ai film, alle città, alle scuole, fino alle università, che a dire il vero hanno dato il via a questa insensata corsa alle graduatorie.
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Tutto sembra essere fatto apposta per consentirci di scegliere. Ogni classifica esprime, o pare voler esprimere, un intento democratico. In realtà, la valutazione ne è l’esatto opposto. In primo luogo, perché nessuna valutazione è neutrale. Specie in ambito scolastico o accademico, il giudizio è calibrato su ciò che il committente della classifica pretende che venga maggiormente valorizzato o invece messo in secondo piano. Quando, dunque, si sceglie una scuola o qualsiasi altra cosa sulla base della graduatoria, in realtà ci si sta assoggettando alla visione del mondo che fa capo a chi ha stabilito cosa è buono e cosa è cattivo.
(Nel caso delle classifiche di Repubblica si tratta della Fondazione Agnelli, cioè l’istituto più ideologicamente ostile alla scuola pubblica che esiste in Italia).
La classifica è dunque uno strumento oppressivo di controllo apparentemente innocuo. E lo è anche per un altro motivo, che riguarda più da vicino la scuola. Le classifiche dei migliori licei sembrano voler aiutare i genitori a scegliere l’istituto più giusto per i propri figli. Il messaggio che si nasconde in questa proposta è che la scuola è un servizio che si offre alle esigenze individuali delle singole famiglie.
Ecco, questo punto è quanto di più antidemocratico sta passando nell’ambito della scuola, la cui funzione non è esclusivamente quella di formare il singolo individuo. La scuola, in un paese democratico, dovrebbe anzitutto servire la collettività e, dunque, l’avanzamento dei singoli non egoisticamente ma nel complesso dei rapporti sociali.
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Non ha dunque senso valutare quale sia il miglior liceo. Ha senso, o meglio dovrebbe avere senso, valutare i progressi culturali che si registrano nelle diverse realtà del paese. Non si tratta dunque di eleggere la scuola migliore e di metterla in competizione con le altre, ma di consentire al più ampio numero possibile di studenti, che magari non vivono nel centro storico delle grandi città e che non hanno i mezzi per potersi spostare, di ottenere un’istruzione dignitosa e democratica.
Invece di fare graduatorie, occorrerebbe allora chiedersi cosa serve per avere “una scuola migliore in un paese migliore”.