Michele Marsonet
Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova, docente di Filosofia della scienza e Metodologia delle scienze umane
La Thailandia tra monarchia e populismo è caratterizzata da divisioni che persistono, con le forze armate sostenute dal clero buddhista e dai sostenitori della monarchia. L’opposizione, rappresentata dal movimento populista “camicie rosse,” si scontra con il partito progressista “Move Forward.” Nel frattempo, la pandemia ha colpito il turismo, preoccupando le potenze vicine come Cina e India. La storia complessa della Thailandia continua a intrecciarsi con le influenze globali.
In Thailandia, nuove agitazioni emergono. Dopo il colpo di stato del 2014, con il Generale Prayut Chan-ocha come attuale Primo Ministro, il Paese è rimasto in apparenza tranquillo. Tuttavia, le
Tira di nuovo aria di rivolta in Thailandia. Dopo l’ultimo golpe militare del 2014, con il quale salì al potere il generale – e attuale primo ministro – Prayut Chan-ocha, la situazione era rimasta pressoché calma per alcuni anni. Tuttavia non è stata superata la tradizionale spaccatura del Paese, che resta molto diviso. Vi sono da un lato le forze armate, bastione del tradizionalismo conservatore, appoggiate da gran parte del clero buddhista e da sempre sostenitrici della famiglia reale.
Mette conto notare, a tale proposito, che il 95% della popolazione thai professa il buddhismo Theravada, che è quindi religione di Stato. Trascurabili le minoranze religiose a parte i musulmani, che rappresentano poco più del 4% e vivono soprattutto nelle aree meridionali.
Sino a pochi anni orsono l’opposizione al governo e alla giunta militare era rappresentata in primo luogo dal movimento populista (le “camicie rosse”) fondato dal tycoon delle telecomunicazioni Thaksin Shinawatra, nel quale aveva un ruolo di rilievo anche la sorella Yingluck Shinawatra. Proprio lei, in carica come primo ministro dal 2011, fu l’obiettivo del golpe condotto dall’esercito nel 2014. Accusata di corruzione andò in esilio. Stessa sorte del fratello, spodestato da un golpe nel 2006 e pure lui esiliato.
Nelle ultime elezioni non si è ben capito quale formazione politica abbia davvero vinto. Il Pheu Thai, partito delle “camicie rosse” dei Shinawatra, è arrivato secondo. Primo è risultato il “Move Forward”, partito che si autoproclama progressista e ha tendenze anti-monarchiche. La vittoria non è stata ufficializzata proprio per questo motivo, giacché i militari ritengono sacra e intoccabile l’istituzione monarchica.
Nel frattempo, nel 2016, si è insediato sul trono con il nome di Rama X il nuovo re Maha Vajiralongkorn, dopo il lunghissimo (70 anni) regno del padre, Bhumibol Adulyadej, spentosi 90nne e figura ieratica e rispettata. Si pensava che il nuovo sovrano avrebbe promosso riforme ma non è stato così. Sul piano politico ha favorito la tradizionale alleanza tra forze armate, famiglia reale e maggiorenti del clero buddhista.
Su quello personale ha confermato la sua fama di playboy impenitente, con molte mogli e un numero imprecisato di concubine. Ha il corpo ricoperto da tatuaggi e vive prevalentemente in Europa disinteressandosi dei problemi del Paese. Inoltre è accusato di sperperare il denaro pubblico e possiede una flotta personale di 38 jet ed elicotteri, pagati però dai contribuenti.
Il timore dell’instabilità del Paese preoccupa i potenti vicini, Cina e India in primis, giacché la Thailandia ha una posizione strategica del Sud-Est asiatico. Finora, per gli standard asiatici, era considerata una nazione economicamente forte.
La pandemia di coronavirus ha modificato drammaticamente la situazione. Il Paese ha infatti nel turismo internazionale una delle sue maggiori fonti di reddito, e forse la principale in assoluto. Inutile dire che la presenza dei turisti stranieri ha subito una forte diminuzione a causa della pandemia. Si tratta ora di capire se, come è spesso accaduto in passato, l’esercito reprimerà in modo sanguinoso eventuali manifestazioni di protesta.
Anche se ai golpe militari thailandesi siamo ormai abituati, chi ha avuto modo di visitare questo splendido Paese non può fare a meno di provare un disagio di fondo, rammentando le immagini viste e la presenza pervasiva della simbologia buddhista in ogni strada di Bangkok e di altre città. Il buddhismo – come tutti sanno – è la religione non violenta per eccellenza. Esorta a distaccarsi dagli eventi del mondo, a meditare sulla caducità di ogni cosa che ci circonda, a trascurare l’esteriorità concentrando l’attenzione sulla nostra dimensione interiore e più profonda. Non solo. Ben prima dei Greci, i filosofi buddhisti avevano “scoperto” la fondamentale distinzione tra apparenza e realtà.
E, contrariamente a quanto ritiene il senso comune, l’apparenza è il mondo esterno che è solo illusione, mentre la realtà “vera” si trova all’interno di noi. Per raggiungerla occorre una grande disciplina, basata su esercizi assai complicati per la mentalità occidentale. Tuttavia tale disciplina, se praticata con costanza e pazienza, è in grado di condurci all’illuminazione che il fondatore aveva raggiunto al massimo grado. Questa la strada per conseguire la pace dell’anima, premessa indispensabile per superare violenza e conflitti che caratterizzano da sempre il mondo come noi lo vediamo.
Il golpe dei militari ci ha però riportato a una realtà molto più simile a quella del senso comune e che con anima e meditazione ha ben poco a che fare. Già, perché la storia Thai, come la storia di ogni altra nazione, è segnata da conflitti e violenze senza fine, e dalla lotta a volte feroce tra fazioni politiche contrapposte. Il sorriso del Buddha resta sullo sfondo, qualcosa di lontano e irraggiungibile.
Come riportato in precedenza, il timore di una rinnovata instabilità del Paese preoccupa non poco i potenti vicini, la Cina in primo luogo ma anche l’India. Occorre infatti rammentare che la Thailandia è collocata in una posizione strategica del Sud-Est asiatico, e non a caso è stata inserita da Pechino nel progetto della “nuova via della seta”. Inoltre, per gli standard locali è una nazione economicamente forte.
La sua posizione ne fece il retroterra Usa durante la guerra del Vietnam, e ha un ruolo importante tra gli alleati degli americani nell’area. Come tutti, però, anche i thailandesi debbono fare i conti con l’accresciuta potenza della Repubblica Popolare che incombe anche fisicamente pur non avendo confini in comune.
Ora si attende di vedere quali saranno le mosse della corte e dell’esercito che, tra l’altro, ha pure una notevole influenza economica. Ecco perché questo Paese bellissimo resta importante pur se afflitto da un’instabilità politica che, talvolta, gli osservatori paragonano a quella italiana. A chi ha avuto occasione di visitarlo, le interminabili sequenze di Buddha dorati nei templi, l’architettura un po’ rutilante e il caos di Bangkok restano nella memoria. Ma a deciderne il futuro saranno probabilmente le grandi potenze, come del resto è sempre accaduto nella sua storia millenaria.