Migliaia di manifestanti sono scesi nelle piazze di Lima, la capitale del Perù, per contestare il governo di Dina Boluarte. La terza presa di Lima è una protesta che ha messo a ferro e a fuoco l’intero Stato. Ma altrettanto violenti sono stati gli scontri con la polizia. La mobilitazione di massa, iniziata il 7 dicembre 2022, è scoppiata in seguito all’incarcerazione di Pedro Castillo e il colpo di Stato di Dina Boluarte. Il popolo chiede lo scioglimento del nuovo governo di coalizione e le dimissioni immediate di Boluarte, poiché non eletta dal popolo. A tutto ciò, si aggiunge la miseria dell’economia peruviana che, nonostante il mercato di esportazioni di metalli, soffre di disuguaglianze e povertà diffusa.
La terza presa di Lima: il significato letterale e politico
Il popolo peruviano sta rivendicando dal 7 dicembre 2022 la “Tercera Toma de Lima”. La terza presa di Lima, la terza conquista della capitale peruviana. Questa è la traduzione letterale dallo spagnolo. La vasta popolazione sudamericana, formata anche dalle comunità indigene, non aspira però a un’occupazione violenta della città, ma a una riappropriazione politica nel nome del sistema democratico.
In prima linea, nelle proteste contro l’alleanza autoritaria, ci sono sempre state le donne aymara che sono arrivate dal confine con la Bolivia, mosse dall’indignazione. La popolazione Aymara del nord del Cile ha un’organizzazione sociale e comunitaria rappresentativa, a livello nazionale e locale. Le donne delle comunità sono scese in piazza portando anche altri valori, come quelli del femminismo e dell’ambientalismo.
Le proteste sono iniziate il 7 dicembre 2022 e non si sono mai fermate. Nonostante i morti nelle piazze, larghi strati della società civile hanno insistito nel chiedere le dimissioni immediate del governo e del congresso peruviano. Particolarmente importante è stata la partecipazione della popolazione andina che è scesa dalle montagne del nord verso la capitale, dove hanno sede i palazzi del governo.
Il casus belli di questa manifestazione nazionale è stata un’escalation di autoritarismo da parte del governo di Dina Boluarte, la presidente della Repubblica peruviana. Le proteste sociali sono in continua programmazione: la terza presa di Lima è iniziata lo scorso 19 luglio fino al 28, anniversario della liberazione del Perù dal dominio spagnolo, avvenuta nel 1871. Ma anche in vista delle prossime settimane sono state programmate altrettante piazze e mobilitazioni di massa.
L’attacco del governo
Il Perù è nel bel mezzo di una restaurazione di un governo di estrema destra guidato da Dina Boluarte. Attraverso un boicottaggio assimilabile ad un golpe, la nuova presidente ha destituito il suo precedessore, Pedro Castillo. La nuova classe politica che si è insediata illecitamente ha operato attraverso canali politici poco chiari e non rispettando la Costituzione. Il modello di vita e cittadinanza proposto, o meglio imposto, è molto limitato. Si tratta di un’economia neo liberale, senza diritti né garanzie e a vantaggio di associazioni mafiose.
Dina Boluarte è autrice di un governo e un Congresso senza opposizione politica. Boluarte è entrata nell’organo esecutivo come vicepresidente del partito di sinistra radicale di Castillo, Perù Libero. Il voltafaccia politico è arrivato quando Boluarte ha promosso un impeachment, cioè una mozione di sfiducia, nei confronti di Castillo, condannandolo al carcere. La vicepresidente è diventata così Presidente della Repubblica e ha stretto un’alleanza di partito con i conservatori fujimoristi.
L’eredità di Fujimori
Fondato nel 2010 dalla figlia dell’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori, il partito di Forza Popolare è apertamente antagonista alla democrazia e favorevole alla politica dei mega profitti. Inoltre, un’altra somiglianza con la politica della stessa Boluarte è la cancellazione totale dell’autonomia degli organi statali, in particolare di quello giudiziario. Il tutto è aggravato dalla forma di governo presidenziale che, come insegna l’esperienza statunitense, ha conseguenze di polarizzazione e accentramento del potere esecutivo e presidenziale.
Questo modus operandi comprende un continuo uso della forza dello Stato, la totale influenza sugli organi costituzionali e vari tentativi di riforma del sistema elettorale. La presidenza vuole modificare il Jurado Nacional de Elecciones. Il JNE è un organo che ha la funzione di proclamare in modo imparziale i risultati elettorali. Attraverso questa riforma, Boluarte vuole assicurarsi in ogni caso la vittoria senza il rischio di perdere le elezioni. L’avvento della coalizione golpista non è stato però un fulmine a ciel sereno. Già dai primi mesi dall’elezione di Castillo, la Boluarte aveva promosso una mozione di sfiducia nei confronti del presidente e aveva dichiarato il falso, accusando il governo in carica di frodi.
La risposta del popolo
La reazione del popolo si è fatta sentire già dal dicembre dello scorso anno fino ai giorni più recenti, proprio con la terza presa di Lima. Uomini e donne delle fasce basse della popolazione hanno opposto resistenza alle continue usurpazioni e al nuovo modello economico. Le mobilitazioni di piazza si sono sempre caratterizzate di una vasta eterogeneità. Non solo operai, ma anche comunità indigene, studenti, lavoratori del settore primario e terziario.
Anche se si chiedono le dimissioni immediate del Parlamento e del Governo, non c’è di fatto un’opposizione che possa spodestare il potere della coalizione golpista. Dina Boluarte non ha la legittimità politica perché non ha il minimo consenso popolare, ma detiene un potere intoccabile. Nonostante il vicolo cieco in cui il Perù si trova in questo momento storico, le mobilitazioni di piazza sono sempre più intense. Il fulcro delle proteste si è sempre concentrato in piazza Abancay, a Lima, dove ha sede il Congresso peruviano.
Durante la terza presa di Lima, sono stati registrati molti incidenti a causa delle armi antisommossa della polizia. Nel dicembre del 2022, le proteste erano state sospese proprio perché le unità delle persone morte durante gli scontri erano salite a 70. Anche le associazioni internazionali hanno sottolineato l’eccessivo uso della forza di polizia e l’evidente alleanza che il Governo ha con le mafie locali e il “terraqueo”, cioè il terrorismo.
La terza presa di Lima divide e unisce un’intera nazione
Le proteste di piazza della terza presa di Lima sono caratterizzate da un’eterogeneità che però, d’altro canto, può arrecare degli svantaggi. Le aree politiche di riferimento e le battaglie dei singoli indeboliscono la protesta collettiva e il più delle volte i protagonisti non riescono a trattenere un dialogo. È il caso dei sindacati e le fasce basse della popolazione, che sembrano parlare due lingue completamente diverse, aumentando così questa frammentazione. Il Perù è un esempio lampante di quanto possa essere difficile combattere contro uno Stato autoritario, sopratutto quando vi è divisione tra i ceti più bassi.
Alcuni manifestanti credono che sia importante conferire a Castillo la carica di presidente proprio perché votato dal popolo democraticamente. Altri manifestanti invece credono che sia più giusto ritornare alle elezioni. Nonostante le varie sfumature, l’obiettivo è unico: far cadere il governo e avere giustizia per i morti nelle piazze. La terza presa di Lima è destinata a durare e ad arricchirsi anche con altre vertenze. Si stanno aggiungendo proteste contro l’estrattivismo, il centralismo presidenziale e il razzismo nei confronti dei popoli indigeni.
La “tercera toma”, che diventerà quarta, avrà bisogno di molto più tempo per raggiungere dei risultati e cambiare il paese, seppur in maniera minima. Il percorso della stabilizzazione democratica è lungo e tortuoso, sopratutto in questo periodo di forte autoritarismo che non dà alcuna possibilità di cambiamento, integrazione e pluralismo. Dunque, l’obiettivo è rendere il Perù uno Stato repubblicano e democratico a livello sostanziale.