Francesca de Carolis
Luisu infila grosse calze di lana grezza, e la cenere del camino la senti che ancora è calda… il suo sguardo scruta il buio di un ripostiglio… si allunga sul percorso dei sentieri, si intreccia fra i rami di un albero di limone… le sue mani intrecciano paglia, tagliano rami secchi… calcano la terra dove ha appena piantato tuberi… in un momento di riposo il suo sguardo si solleva a guardare il cielo da un letto di fiori sottili… il panorama intorno sono profili di clivi, e dossi e ancora sentieri fra gli alberi… gli oggetti intorno sono arnesi che lavorano la terra, e li immagini accompagnati da gesti antichi… sulla sua mensa anche il pane sembra avere il sapore buono della terra, come le pietre del vecchio casolare umido d’edera.
Luisu, Luigino, viene incontro dalle pagine del lavoro fotografico di Pietro Basoccu, medico-pediatra-fotografo d’Ogliastra (ne parlo a tratti, sempre rapita dal mondo, rigorosamente in bianco e nero, che racconta…) a raccontare questa volta (“Luisu”, Soter Editrice) quel legame particolarissimo che ha l’uomo con la terra.
“Il rapporto stretto con la terra è una caratteristica di ogni essere umano a prescindere dall’epoca in cui vive… Per alcuni uomini tutta la vita è votata alla campagna, all’agricoltura. Dalla terra traggono tutto o in parte il necessario per vivere, la terra è rifugio e conforto”, spiega Basoccu, che apre lo sguardo su “uomini intrisi di cultura contadina che vivono e conoscono il ritmo della terra e delle stagioni”.
Ma mentre guardo, e sfoglio, e sento l’odore del fogliame, vedo comparire come in filigrana, e non riesco ad evitare che vi si sovrappongano, le immagini del mondo contadino che mi ha svelato Mario Trudu.
E mi perdoni Luisu se accosto la sua immagine a quella di un ergastolano. Ex ergastolano, ché Mario, due condanne per sequestro di persona (del primo si è sempre dichiarato innocente), non c’è più. Portato via da una morte cattiva e ingiusta dopo 40 anni di detenzione, e vi risparmio dettagli. E perdonatemi, ma imparando a cogliere, seguendo di prigione in prigione gli ultimi dieci anni della vita prigioniera di Mario Trudu, i moti profondi del suo animo, mi sono convinta che dopo una pena infinita, e senza spiragli, non si è più colpevoli ma vittime di uno Stato che solo cerca vendetta.
Guardo Luisu e penso a Mario che mi spiegava come ciò che gli ha permesso di resistere tanto tempo dentro quattro mura (e che mura!) è stato il ricordo della sua terra. Della terra, della vita fra i monti, fra i boschi… e sempre, quando ne parlava, gli si illuminavano gli occhi. “Sin da bambino ero attratto dalla campagna. Avrei voluto rimanervi giorno e notte, niente mi attirava più dei boschi, dei campi, dei fiumi, degli animali”, scriveva.
Guardo, nelle foto di Basoccu, le mani di Luisu, e rivedo quelle di Mario… solide, forti, mani di pastore che tutto sapevano fare.
Guardo il ritratto di grappoli di cipolle, il pane, i semi sulle tavole… e penso alla cantina della casa di cui Mario mi raccontava e “chiudendo gli occhi ancora ne sento l’odore, sento il sapore di tutto quel ben di dio”.
“Eroi della zappa” definiva la sua gente. Rendendo omaggio alla memoria dei suoi tanti ‘Thiu.
Non potete immaginare quanta gioia ha espresso parlando dell’albero che riusciva a vedere dalla sua nuova cella quando fu trasferito nel carcere di San Gimignano…
“Mio Dio!.. mi aggrappai con le mani alle sbarre, vi appoggiai la testa, come se avessi paura che ammirare tanta bellezza mi facesse mancare le forze”.
Dopo 35 anni che le sue finestre affacciavano solo su mura, restò aggrappato a quelle sbarre tutta la notte…
Molto da lui ho imparato del rapporto dell’uomo con la terra, dell’immensa forza che può nascere da questo legame quando profondo come il suo, che è legame ininterrotto con la propria essenza profonda. E le immagini di Pietro Basoccu, attraverso il protagonista di questo suo racconto, me lo riportano tutto.
Guardo Luisu sorridere sulla soglia del pollaio e penso a quando Mario mi confidò che sognava ancora di poter finire i suoi giorni ritornando alla terra, ai suoi boschi, accanto ai suoi animali.
E’ vero, ciò che in quarant’anni di non vita quello che lo ha tenuto in vita è stato il ricordo della sua terra. Che non è solo ricordare, come chiunque di noi può immaginare e fare, è qualcosa di più. E’ immaginare di esser altrove con tanta forza da avere anche la sensazione fisica di essere in quell’altrove. E questa cosa, questa forza d’attrazione immensa, questo richiamo che dalla sua terra arrivava, l’ho capita la prima volta che in primavera, in Ogliastra, ho visto i campi di asfodelo fioriti…
La terra, si dice, è di chi la canta. Parlandone come in un canto, anche in quello che è diventato poi un libro (“Cent’anni di memoria”) Mario ha dichiarato la sua appartenenza alla terra e l’appartenenza della terra a lui.
Ed è la stessa indissolubile appartenenza che Basoccu ci racconta con queste sue immagini, come dichiara il sorriso di Luisu, che ammicca a un mondo di cui conosce il pulsare segreto.
Ha ragione Pietro Basoccu, che ancora una volta ci regala un densissimo sguardo sull’uomo:
“Sono uomini intrisi di cultura contadina. Non c’è distinzione fra passato presente e futuro. Non è che un’illusione, per quanto tenace. Anche Laerte, re contadino, insegna al figlio ad amare la terra e a conoscerne la ciclicità e sarà questa comune anima contadina a permettergli di capire che quello che gli si era presentato davanti era il figlio che mancava da vent’anni”.
Pensando a Omero…
E non sarà un caso che Omero, di cui conosceva a memoria i versi, era il cantore preferito di Mario. E mi chiedo quali versi ha nel cuore Luisu, che con pennellate di scatti Basoccu ha con la sua terra cantato.