La teoria del segno linguistico: Leopardi anticipa de Saussure

La teoria del segno linguistico

Nel 1916 veniva pubblicato il Corso di linguistica generale (Cours de linguistique générale), opera postuma del linguista e semiologo svizzero Ferdinand de Saussure. Essa non è altro che il frutto di un lavoro di riorganizzazione e revisione degli appunti che gli allievi di de Saussure avevano preso durante il suo corso di linguistica generale. Le lezioni si erano tenute presso l’Università di Ginevra fra il 1906 e il 1911. Tra i principali concetti approfonditi in questi appunti, arricchiti da alcune note dell’autore recuperate dopo la sua morte, troviamo la teoria del segno linguistico.

De Saussure concepisce il “segno” come l’unione inscindibile di un “significante” e di un “significato”. Il primo è l’aspetto formale del segno, mentre il secondo consiste nel suo contenuto. Per fare un esempio: la parola “cane” è il significante (come insieme di suoni linguistici e di lettere) che si riferisce a un determinato significato/concetto (l’idea stessa di cane, ossia quel simpatico animale a quattro zampe che scodinzola e abbaia). Le parole, siano esse scritte o pronunciate, non significano nulla se non attribuiamo loro un significato convenzionalmente e arbitrariamente condiviso. Il processo di attribuzione di un significato a un determinato significante prende il nome di “significazione”.

Ferdinand de Saussure – padre della linguistica generale – parla di significante e significato agli inizi del Novecento. Giacomo Leopardi usa gli stessi termini nella prima metà dell’Ottocento.

Il giovane conte di Recanati, infatti, scrive di segno e di significazione in un passo del suo Zibaldone, dove si legge:

“[…] la fisionomia de’ fanciulli ha sempre poca significazione per chi l’osserva, perché la significazione della fisionomia nasce in gran parte dalle assuefazioni, cioè dal carattere, dalle passioni, […] che l’individuo acquista appoco appoco, e che mettono in azione, e danno rappresentanza alla fisionomia. Il carattere de’ fanciulli essendo ancora formabile, la significazione della loro fisionomia, è anch’essa da formarsi […]. […] lo spettatore non applica a questo segno, veruna notabile significazione, sapendo che il carattere del fanciullo non è ancora formato…[…] Sicché la fisionomia del fanciullo lascia l’uomo quasi indifferente, com’è indifferente e di poco conto ciò ch’ella può significare, e com’è leggera la corrispondenza tra il significante e il significato.” 

Riflettendo sulla fisionomia dei bambini, lo scrittore rintraccia in essa proprio un significante (la fisionomia stessa) e un significato (ciò che l’osservatore attribuisce a quella fisionomia).

Leopardi chiarisce che in questo caso il processo di significazione viene a mancare. Lo spettatore sa che il bambino è una tabula rasa, priva di esperienze di vita e con un carattere ancora da formare; proprio per questo motivo egli si tiene lontano dall’attribuire alla sua fisionomia (il significante) un determinato significato.

In questo passo dello Zibaldone, il poeta dell’Infinito  descrive il processo di significazione. La terminologia utilizzata è la stessa che de Saussure adopera, quasi cent’anni dopo, nell’elaborazione della propria teoria del segno linguistico. Ennesima prova del pensiero moderno di Leopardi.

Annapaola Ursini

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