La stretta di Nordio sulle intercettazioni e il precedente del caso Palamara

La stretta di Nordio sulle intercettazioni

Se nel 2019, la stretta di Nordio sulle intercettazioni fosse già stata in vigore, l’opinione pubblica non avrebbe mai conosciuto le torbide manovre orchestrate dal Giudice Luca Palamara per permettere a pezzi della politica e consiglieri del Csm di spartirsi le nomine e il potere.

Mors tua vita mea. È questa la logica che sembrerebbe animare la nuova riforma della Giustizia varata dal governo meloni. La stretta di Nordio sulle intercettazioni, che riscrive la disciplina del divieto di pubblicazione dei contenuti dei nastri prevista dall’articolo 114 del codice di procedura penale, è la manifestazione della vittoria del più forte sul più debole e dell’egoismo della casta sul resto dell’opinione pubblica.

Se fino ad ora, infatti, era vietato riportare sui media soltanto i contenuti delle intercettazioni non depositate dal pubblico ministero o non acquisite su richiesta dei difensori, con la nuova riforma della Giustizia targata Nordio, il divieto sarà esteso a qualsiasi dialogo che non sia stato “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento”.

 L’importanza delle intercettazioni: il caso Palamara

Secondo le previsioni del Ddl Nordio, sui  giornali si potranno leggere solo le intercettazioni contenute in un’ordinanza di custodia o in un eventuale provvedimento del tribunale del Riesame ma non verrà mai divulgato ciò che è contenuto nelle richieste della Procura o nelle informative di polizia giudiziaria allegate agli atti d’indagine.

Questo significa che, anche l’ormai noto scandalo che nel 2020 colpì al cuore il mondo della magistratura travolgendo il rampante giudice Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex membro del Consiglio superiore della Magistratura, non sarebbe mai stato scoperto se la riforma sulla Giustizia varata dall’esecutivo meloni fosse stata già in vigore nel 2019 quando iniziarono le indagini.

Le intercettazioni tra Palamara Lotti e Ferri

Il caso delle nomine pilotate che ha coinvolto il Csm è letteralmente esploso nel maggio 2019 con la pubblicazione di alcune intercettazioni del giudice Luca Palamara, ottenute grazie al virus trojan installato sul suo smartphone. Le intercettazioni in questione sono quelle del famoso  incontro notturno tra Palamara,  l’esponente del partito democratico Luca Lotti, l’ex magistrato Cosimo Ferri e altri cinque componenti del Csm che avrebbero dovuto votare a breve il nome del nuovo procuratore di Roma.

Dai dialoghi intercettati emerse un sistema inquietante fatto di corruzione e abuso di potere:  “Si arriverà su Viola“, diceva a un certo punto Lotti, che da quell’ufficio era indagato per il caso Consip, riferendosi all’attuale procuratore di Milano, Marcello Viola. L’ex consigliere Csm Luigi Spina, invece, complottava con Lotti per far spostare Giuseppe Creazzo, che indagava su Renzi, dalla poltrona di procuratore di Firenze: “Te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile”.


Molte di quelle conversazioni, però, non erano contenute in alcuna ordinanza poiché la Procura di Perugia, che indagava per corruzione, non aveva richiesto nessuna misura cautelare. Perciò,  le intercettazioni del cosiddetto “scandalo nomine nel Csm” non sarebbero mai divenute note se i giornali non le avessero pubblicate. Sicuramente, a palazzo dei Marescialli si sarebbero comunque attivati per punire gli illeciti in sede disciplinare ma l’opinione pubblica non avrebbe mai conosciuto i dettagli riguardanti i loschi giochi di potere tra pezzi della magistratura e della politica.

Il caso del boss mafioso Giuseppe Graviano

La stretta alle intercettazioni voluta da Nordio, promette di segnare, dunque, una differenza sostanziale rispetto al passato. Accade spesso, infatti, che il gip (giudice per l’indagine preliminare) non ritenga importante citare nelle ordinanze molte delle conversazioni  ritenute superflue per giustificare la misura cautelare e che possono, invece, rivelarsi importanti per l’opinione pubblica, soprattutto nel momento in cui a macchiarsi di determinati reati sono uomini delle istituzioni come ben dimostra il caso delle nomine pilotate nel Csm.

Ma, oltre al caso Palamara, un altro esempio clamoroso  è quello delle intercettazioni del boss stragista Giuseppe Graviano, condannato per aver messo a ferro e fuco l’Italia tra il 1992 e il1993. Il 10 aprile 2016 la Procura di Palermo, nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, aveva intercettato nel carcere di Ascoli Piceno il capomafia Giuseppe Graviano mentre parlava con il compagno d’ora d’aria, Umberto Adinolfi, non solo delle stragi del 1993, ma anche del 41 bis e soprattutto dei rapporti tra la  Mafia e le istituzioni. Poi, ad un certo punto, il boss palermitano aveva fatto riferimento anche all’ex premier Silvio Berlusconi: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E ancora: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”. “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia” ha quindi concluso  il mafioso.

Il processo ‘Ndrangheta stragista e le affermazioni su Berlusconi

Le intercettazioni di Graviano in carcere non erano contenute in alcuna ordinanza di custodia e neanche in provvedimenti del Riesame ma hanno portato la procura di Firenze a riaprire le indagini sulle stragi del 1993, iscrivendo nuovamente Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri con l’accusa di essere i “mandanti esterni” delle bombe di Firenze, Roma e Milano. Accuse mai dimostrate e archiviate più volte in passato.

Ma c’è un ulteriore aspetto degno di nota, ovvero che, soltanto dopo essere stato intercettato, Giuseppe Graviano decise per la prima volta di parlare in un’aula di tribunale. Nel processo ‘Ndrangheta stragista, il boss di Cosa nostra ha affermato di essere stato in affari con Silvio Berlusconi e di averlo incontrato almeno tre volte quando era latitante. Anche in questo caso le accuse non sono mai state dimostrate, anzi sono sempre state smentite dagli avvocati del fondatore di Forza Italia che fin quando era in vita non ha comunque mai denunciato per calunnia il mafioso siciliano.

L’insofferenza del Ministro Nordio alle critiche

In questi giorni, il ministro Nordio non ha nascosto la propria insofferenza alle critiche mosse dall’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) sull’intero progetto di riforma della Giustizia che porta la sua firma. Intervistato durante il Taormina book festival, il ministro ha voluto ribadire che l’interlocutore del governo per la questione Giustizia è il Consiglio Superiore della Magistratura e non una semplice associazione di professionisti, come l’Anm.

Alle dure parole di Nordio che hanno incendiato il confronto a distanza con la magistratura, delegittimando fortemente la posizione dell’Anm,  fanno eco le  dichiarazioni di Luca Palamara (che di recente ha patteggiato la propria pena al processo di Perugia che lo vedeva indagato) secondo il quale in passato l’Anm è stata tra i principali oppositori politici di Berlusconi, perseguitando di recente anche Matteo Renzi. Per Palamara “l’ingresso in politica di un personaggio nuovo come il Cavaliere rappresenta uno spauracchio per l’indipendenza della magistratura rispetto alla politica. E la giustizia, o almeno parte di essa, ha provato a difendersi attaccando.”  “Dal 2008, con l’approvazione del Lodo Alfano, poi, il “tappo” è saltato e la magistratura ha voluto avviare un regolamento di conti”, ha concluso l’ex giudice.

Tommaso Di Caprio

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