La “Strage di Sant’Alessandro” la domenica del 26 agosto 1984 a Torre Annunziata

Strage di Sant'Alessandro

La “Strage di Sant’Alessandro”, così chiamata dal nome del santo del giorno, ha lasciato un segno indelebile nel ricordo collettivo. Quel giorno, otto vite vennero spezzate e sette persone rimasero ferite, innescando un evento che avrebbe richiamato l’attenzione di tutto il mondo su una lotta di potere intrisa di violenza e vendetta.

Il 26 agosto del 1984, una calda domenica, la città di Torre Annunziata, in provincia di Napoli, fu sconvolta da uno dei più spietati atti di violenza nella storia della camorra, che causò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 7, compresi individui innocenti. Questo tragico evento, noto come la “Strage di Sant’Alessandro”, prende il nome dal Santo del giorno, ma il suo ricordo è associato a un episodio di terrore che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva.

Andrea Buonocore, un giovane carabiniere di allora, stava lavorando presso la centrale operativa della Compagnia di Torre Annunziata quando ricevette numerose telefonate concitate e anonime in dialetto locale. Le chiamate segnalavano una scena di morte e feriti con abbondante sangue: «correte ci sono tanti morti, feriti e sangue dovunque», diceva una voce preoccupata al telefono.

Guidato dalla sua esperienza e conoscenza dei luoghi e delle faide della camorra nella zona, Buonocore reagì immediatamente. Mobilizzò la pattuglia più vicina e si precipitò sul luogo indicato dalle telefonate. «Ricordo che i colleghi facevano fatica a spiegarmi quello che non avevano mai visto prima ed io a prendere nota per riferire al comandante della Compagnia. Sono attimi che ho scolpito nelle mia mente e che ricordo con trepidazione ed entusiasmo per aver contribuito nell’immediato a gestire una situazione che coinvolse l’intera Arma dei carabinieri che fece convergere su Torre Annunziata centinaia di uomini e numerosi ufficiali. I militari contribuirono ad avviare una struttura investigativa complessa di cui il punto di riferimento rimase il valoroso allora capitano Gabriele Sensales», ricordò Buonocore.

La “strage di Sant’Alessandro” non passò inosservata a livello internazionale. Arrivarono testate giornalistiche di tutto il mondo, le notizie dell’episodio fecero il giro del globo. Le complesse indagini che seguirono coinvolsero la magistratura, i carabinieri, la polizia e la Guardia di Finanza. Queste indagini rivelarono che la strage era il tragico epilogo di una lotta sanguinosa tra vari clan di camorra, desiderosi di controllare il vasto complesso di interessi criminali della zona. Inizialmente, vi era stato un accordo di “cartello” tra i clan, ma le ambizioni espansionistiche di Valentino Gionta sfaldarono presto questa tregua. Gionta formò un’alleanza tra il suo clan di Torre Annunziata e quello di Lorenzo Nuvoletta di Marano, considerato una sorta di “proconsole” della mafia siciliana.

Tra le vittime dell’atroce strage c’è Francesco Fabbrizzi, un uomo innocente di 54 anni che si trovava nei paraggi del “circolo dei Pescatori”, frequentato da esponenti del clan di Torre Annunziata e da Valentino Gionta in persona. Quest’ultimo era il vero bersaglio di un gruppo di 15 sicari provenienti dai clan Bardellino e Alfieri, armati fino ai denti. Gionta aveva infranto accordi miliardari sugli interessi illeciti della camorra nella vasta area Vesuviana e stava pagando il prezzo.

L’attacco fu condotto in modo atroce e sanguinoso. I sicari arrivarono sul luogo nascosti all’interno di un autobus turistico rubato in Calabria. Si divisero in due gruppi e aprirono un fuoco di proiettili contro le persone presenti all’interno e all’esterno del locale. Fu un massacro che lasciò cadaveri sui marciapiedi e feriti che vennero portati negli ospedali della zona dai loro amici e parenti.

Valentino Gionta riuscì a sfuggire attraverso i vicoli del quartiere popolare in cui aveva iniziato la sua carriera criminale. Da lì, aveva orchestrato un impero criminale che aveva un ampio controllo sugli appalti e sul redditizio mercato delle carni. La sua faida con il clan di Carmine Alfieri di Nola aveva creato un clima di violenza senza precedenti.

La “Strage di Sant’Alessandro” rimane un capitolo oscuro nella storia della camorra, la sua brutalità e il suo impatto sulla comunità sono ancora oggi rilevanti, mentre le domande senza risposta continuano a circondare questo tragico episodio.

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