La strage di Nassiriya: la missione italiana in Iraq

la strage di Nassiriya e la guerra del golfo

Nel contesto delle missioni internazionali, l’Italia ha più volte dimostrato il proprio impegno per la pace e la stabilità globale, ma anche il continuum di una retorica militarista che ha accompagnato l’orgoglio nazionalista di tanti partiti e di gran parte del popolo d’Italia. Una delle sue partecipazioni più tragicamente ricordate è la missione in Iraq, segnata da un evento doloroso, la strage di Nassiriya, un attentato avvenuto il 12 novembre 2003. In questa occasione, un attacco contro la base italiana causò la perdita di 19 connazionali tra militari e civili. A ventuno anni di distanza, il loro sacrificio viene ancora commemorato come simbolo di dedizione al servizio della patria e della comunità internazionale, un tributo che le istituzioni italiane rinnovano annualmente in segno di gratitudine e rispetto.

L’inizio della missione italiana in Iraq

La strage di Nassiriya avvenne qualche mese dopo l’avvio dell’operazione “Iraqi Freedom” nel marzo del 2003. Una coalizione internazionale, principalmente composta dagli eserciti di Stati Uniti e Regno Unito, diede il via alla seconda guerra del Golfo. Nonostante la dichiarazione ufficiale di conclusione del conflitto avvenuta il 1° maggio dello stesso anno, il territorio iracheno continuò a vivere in una situazione di instabilità profonda, con le truppe straniere costantemente minacciate da attacchi.

La risoluzione ONU 1483, approvata il 22 maggio 2003 dal Consiglio di Sicurezza, incoraggiò tutti gli Stati a contribuire alla rinascita dell’Iraq, supportando la sicurezza della popolazione locale e il processo di ricostruzione. L’Italia, rispondendo all’appello internazionale, partecipò alla missione “Antica Babilonia”, dislocando le proprie unità nel sud dell’Iraq, con base operativa a Naṣsiriya, capoluogo della regione di Dhi Qar e punto strategico per la presenza di giacimenti petroliferi.

La tragica giornata del 12 novembre 2003

Il 12 novembre 2003 rimarrà per sempre nella storia italiana come la strage di Nassiriya. Alle 10:40 ora locale, un’autocisterna imbottita di esplosivo si schiantò contro la base italiana Maestrale, presidiata dai Carabinieri, provocando una potente esplosione che devastò il deposito munizioni e causò la morte di 28 persone, tra cui 19 italiani: 12 carabinieri, 5 militari dell’esercito e due civili.

Questo attacco, tra i più gravi subiti dalle forze armate italiane dalla Seconda guerra mondiale, scosse profondamente il Paese e l’opinione pubblica internazionale, evidenziando il rischio e il peso delle missioni di pace in territori instabili. Tra i caduti vi era anche il maresciallo Daniele Ghione, originario di Finale Ligure, la cui memoria, come quella di tutti gli altri caduti, continua a essere onorata nelle cerimonie commemorative nazionali.

L’omaggio delle istituzioni italiane ai caduti

Nel ventunesimo anniversario della strage di Nassiriya, le istituzioni italiane hanno rinnovato il proprio tributo ai caduti italiani. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso un messaggio di profonda riconoscenza verso coloro che, mossi da un forte senso del dovere, hanno sacrificato la propria vita in nome della pace e della cooperazione internazionale.



Il Presidente della Repubblica ha sottolineato come la Giornata del Ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali rappresenti un momento di riflessione sul significato del loro impegno, un richiamo all’importanza delle missioni di pace in un mondo sempre più segnato da conflitti e tensioni.

La premier Giorgia Meloni, condividendo il pensiero del Presidente, ha espresso il ringraziamento di tutto il Governo italiano, ricordando che la dedizione e il sacrificio dei militari sono elementi fondanti dell’identità nazionale, valori che il Paese non dimenticherà mai. Questo continuo richiamo alla commozione, alla commemorazione, ad un cordoglio sempre più stretto ai connazionali e alla patria nasconde una pericolosa forma mentis politica e sociale, fondata sul dominio e sull’imperialismo. 

La guerra in Iraq si racconta ancora oggi come l’ennesima missione di pace, quando gli imperialismi del post Seconda Guerra Mondiale tentavano di esportare la loro democrazia liberale e, manu militari, amministrare un paese straniero, con una propria identità e una propria autonomia. Le missioni internazionali di pace sono perciò, come delinea la storia, delle crociate militari e culturali, che mirano ad occupare un popolo e la sua terra. 

Il paradosso delle missioni internazionali di pace

Il tributo dei caduti alla strage di Nassiriya rimane, sotto il segno del patriottismo, un esempio per tutti coloro che operano per la costruzione di un mondo più sicuro e libero da conflitti. Ad oggi, la retorica delle missioni internazionali si interseca con gesti di solidarietà verso le popolazioni colpite, una promuovere il dialogo, una costruzione di ponti tra le culture e ridurre le tensioni.

L’Italia ha sempre svolto un ruolo di rilievo nelle missioni internazionali, sostenendo il valore della pace e della cooperazione, principi cardine del diritto internazionale e della diplomazia. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha voluto sottolineare proprio questo aspetto, ricordando con orgoglio e riconoscenza il coraggio dei caduti italiani, impegnati con onore in teatri di crisi per difendere la pace e la libertà.

La strage Nassiriya è un monito eterno, sopratutto per ricordare cosa è stata la storia italiana, per non ripetere i nostri errori ma sopratutto per evitare ogni forma di revisionismo o manipolazione storica: è una testimonianza del prezzo che spesso viene pagato per garantire una pace non giusta.

Lucrezia Agliani

Exit mobile version