La strage di Fiumicino del 1973, un tragico evento che ha segnato la storia dell’Italia e del conflitto mediorientale, rappresenta un capitolo oscuro e complesso delle relazioni internazionali.
Il 17 dicembre 1973, poco prima delle 13, tra l’area transiti e la piazzola delle partenze A/15 dell’aeroporto romano di Fiumicino, un commando di cinque terroristi palestinesi, che si sospettava appartenessero al gruppo Settembre Nero, prese alcuni ostaggi e attaccò un Boeing della PanAm che si trova sulla pista in attesa di partire.
I terroristi gettarono all’interno alcune bombe a mano, devastando il velivolo e massacrando orribilmente trenta passeggeri, a cui si aggiunsero poi altre vittime uccise durante la fuga con nove ostaggi a bordo di un altro Boeing della Lufthansa, che fece tappa ad Atene per rifornimenti.
Il bilancio complessivo dell’azione fu di 32 vittime, di cui 6 italiane: i tre componenti della famiglia De Angelis, Giuliano, Emma e la loro figlioletta Monica, l’ingegner Raffaele Narciso, il giovane finanziere Antonio Zara (ucciso mentre cercava di fermare i terroristi in fuga) e il tecnico della compagnia di servizi aeroportuali Domenico Ippoliti (rapito a Roma e ucciso ad Atene). La drammatica fotografia che coglie l’Appuntato della Finanza Antonio Zara a terra, agonizzante, sotto l’aereo, scattata dal fotografo Elio Vergati, vinse il premio Pulitzer.
In cambio del rilascio degli ostaggi, i terroristi ottennero di atterrare in Kuwait e di essere consegnati all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che li sottopose a un processo interno, davanti a un tribunale presso il Cairo. L’Italia non ne chiese la consegna, né allora, né successivamente, e la vicenda sprofondò ben presto nel silenzio, quasi certamente per ragioni di opportunità politica.
Il Governo italiano, infatti, per motivi d’interesse economico e strategico, intratteneva speciali rapporti diplomatici con il mondo palestinese e stipulava in quegli anni un lodo d’intelligence che garantiva il libero transito di armi e uomini dei gruppi palestinesi sul suolo italiano, purché non compiano attentati. L’accordo fu negoziato grazie alla mediazione del Colonnello Stefano Giovannone, con Mariano Rumor premier e Aldo Moro Ministro degli Esteri, da cui la denominazione utilizzata di frequente lodo Moro.
Stando ad alcune segnalazioni dei servizi segreti, si sospettava che la strage fosse una rappresaglia contro l’Italia per l’arresto di cinque militanti palestinesi avvenuto a Ostia il 5 settembre 1973. Sebbene due dei cinque arrestati fossero già stati liberati il 30 ottobre (episodio a cui è stato poi collegato l’abbattimento nei cieli sopra Marghera il 23 novembre 1973 del bimotore militare Argo 16 in uso ai servizi segreti italiani, utilizzato per trasportarli), il processo per gli altri tre avrebbe dovuto aprirsi a Roma proprio il 17 dicembre.
Questa ipotesi però fu contraddetta dal fatto che i dirottatori chiesero la liberazione di alcuni palestinesi detenuti in Grecia, senza menzionare quelli arrestati Italia. Sia i palestinesi detenuti, sia il Fronte popolare di Liberazione della Palestina (FPLP, uno dei principali componenti dell’OLP accanto ad Al Fatah di Yasser Arafat, che dal 1967 aveva l’egemonia nell’organizzazione) dichiararono la propria estraneità dall’attentato; lo stesso fece Arafat.
Una ricostruzione credibile attribuisce l’efferato attentato alla piccola formazione estremista palestinese Assifa (‘tempesta’), che agiva di concerto con il Consiglio Rivoluzionario di Al Fatah di Abu Nidal, la fazione più estremista della galassia palestinese, espulsa dall’OLP (Abu Nidal sarà condannato come mandante della seconda Strage di Fiumicino del 1985), mentre non ha trovato riscontri convincenti l’ipotesi che alle spalle dell’attentato vi fosse la Libia di Gheddafi.
L’uso del dirottamento aereo a fini di lotta armata e di propaganda era iniziato fin dagli anni Trenta del Ventesimo secolo, contestualmente alla crescita dell’aviazione civile. Negli anni Cinquanta si erano segnalati vari casi in America Latina. Nel 1968, il FPLP aveva dirottato ad Algeri un volo della compagnia israeliana El Al, mentre l’anno dopo, proprio a Fiumicino, un commando palestinese di cui faceva parte la famosa terrorista Leila Khaled aveva catturato un volo TWA dirottandolo a Damasco.
Queste azioni si iscrivono nella nuova tattica, a base di clamorosi attentati terroristici (assalti alle ambasciate, sequestri e dirottamenti di aerei, che poi si trasformano in vere e proprie stragi) che l’OLP adottava dopo la disfatta degli stati arabi contro Israele nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, per imporre all’attenzione delle potenze occidentali la propria causa e la necessità di giungere a una soluzione negoziata per la questione palestinese.
Il gruppo Settembre nero, per esempio, attivo tra il 1971 e il 1974, prende il nome dall’aspro conflitto civile in Giordania quando re Hussein decise l’espulsione dei profughi palestinesi, segnato da episodi cruenti come i massacri compiuti dall’esercito giordano nei loro campi, e si conclude con l’esilio dei militanti dell’OLP superstiti in altri Paesi, soprattutto in Libano. Dal 1968, firma un’escalation di attentati in cui si iscrivono la clamorosa azione contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972 e l’attentato efferato che nel 1974 fece esplodere, poco dopo lo scalo ad Atene, un aereo della compagnia statunitense TWA in volo da Israele a New York, uccidendo 88 persone (quanto alla strage di Fiumicino, non vi sono prove di un coinvolgimento di questa sigla). Una tattica che si rivelava efficace: nel novembre 1974, il leader dell’OLP Arafat fu invitato a tenere un discorso all’ONU.