La storia di Genie, bambina selvaggia

“Genie” è lo pseudonimo usato per proteggere la privacy di una ragazzina di tredici anni, protagonista di una storia talmente grottesca da non sembrare vera. Una delle storie più crudeli di isolamento sociale degli Stati Uniti.

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La piccola Genie

Nata nel 1957, Genie non aveva nemmeno due anni quando suo padre la rinchiuse in una stanza, isolata dal resto della casa di famiglia. Le finestre erano coperte da fogli di alluminio in modo da non far entrare la luce del sole. E le voci dei vicini. Il motivo di tutto ciò? L’uomo era convinto che Genie avesse un ritardo mentale e, guidato dalle sue paranoie, aveva dato inizio ad un inferno durato quasi undici anni. La piccola Genie trascorreva le giornate in un lettino con le sbarre, con il divieto di emettere suoni, pena una serie di frustate.

La madre di Genie, quasi completamente cieca, decise di lasciare il marito quando la ragazzina aveva tredici anni. Un giorno, la donna andò a chiedere il sussidio e portò Genie con sé. Un assistente sociale, vedendo le condizioni della ragazzina, decise di intervenire. Genie indossava il pannolino, emetteva versi incomprensibili, aveva le abilità motorie di una bambina piccola e strisciava sul pavimento come un animale. L’assistente sociale credeva di trovarsi davanti ad una bambina autistica di soli sei anni. Appena scoprì la vera età della ragazzina, contattò il suo supervisore, il quale a sua volta allertò il Dipartimento dello Sceriffo della Contea di Los Angeles.

La “casa degli orrori” fu perquisita e i genitori di Genie furono arrestati con l’accusa di abuso di minore. Ben presto, però, la madre fu rilasciata, alla luce di prove che mostravano la sua intenzione di fuggire dal marito. Tuttavia non ottenne la custodia della figlia. Il padre si suicidò prima di essere convocato di fronte ad un giudice, lasciando un biglietto di addio in cui aveva scritto: “il mondo non capirà mai”.

Genie, ribattezzata dai media “wild child” (“bambina selvaggia”), fu ricoverata nell’Ospedale Pediatrico di Los Angeles. Seguita da un team di medici e terapisti, imparò a leggere il linguaggio dei segni e soprattutto ad usarlo. Lo pseudonimo le fu dato da Susan Curtiss, una laureata specializzata in linguistica. La Curtiss paragonava la ragazzina, emersa all’improvviso nella società, ad un genio (in inglese “genie”) che esce dalla lampada.

Nei primi anni Settanta, il caso di Genie divenne materiale per uno studio a cui parteciparono i medici più qualificati. Sfortunatamente, nell’autunno del 1974, il progetto smise di essere finanziato, e la ragazza fu sballottata da una famiglia affidataria all’altra. Una volta compiuti i diciotto anni, tornò a vivere con la madre in quella casa che era stata la sua prigione per tanti anni. Gli anni passati lontane l’una dall’altra non favorirono la convivenza tra Genie e sua madre, e, alla fine, la ragazza fu restituita al sistema.

Cosa ne è stato di Genie, la ragazzina selvaggia? Adesso ha cinquantanove anni e vive in un istituto privato della California. Un istituto per adulti “mentalmente sottosviluppati”. La maggior parte della gente, se non la totalità, avrà colto l’ingiustizia subita da Genie per tutti questi anni. Il suo linguaggio e le sue facoltà mentali sono stati compromessi per sempre da chi doveva prendersi cura di lei. La follia di un uomo e la debolezza di una donna che si ribellò troppo tardi le hanno cambiato la vita in maniera irreversibile.

 

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