La storia di Ken Saro-Wiwa, scrittore e attivista ambientale nigeriano che il 10 novembre del 1995 fu giustiziato dal regime sanguinario di Sani Abacha. Era colpevole di aver scritto pubblicazioni che denunciavano le devastazioni della terra del Delta del Niger da parte delle aziende petrolifere e di essere rappresentante del MOSOP, il movimento per la sopravvivenza della propria etnia, gli Ogoni
Ken Saro-Wiwa è stato uno degli scrittori e degli intellettuali nigeriani più influenti dell’Africa postcoloniale. Egli nacque nel 1941 a Bori, una regione del Delta del Niger, aspetto particolarmente significativo per la sua produzione artistica ed anche per la sua influenza ed attivismo nella vita pubblica. Ken Saro-Wiwa apparteneva infatti all’etnia degli Ogoni, un popolo di mezzo milione di persone insediato nella regione del Delta, territorio conosciuto per i suoi enormi depositi di petrolio e fondamentale per l’attività delle compagnie petrolifere come Shell o Eni.
A causa delle operazioni di estrazione del petrolio da parte di queste multinazionali, eseguite con la totale complicità della classe dirigente e politica del Paese per motivi economici, il popolo degli Ogoni è stato costretto all’emigrazione in quanto straziato da una duplice condanna: inquinamento ed enorme povertà, nonostante la ricchezza della propria terra. Le grandi compagnie petrolifere nel Delta erano (e sono) dunque spietate carnefici dei diritti umani e responsabili incuranti dell’avvelenamento dell’ecosistema di un’ intera regione e sono proprio queste le cose contro le quali si batteva Ken Saro-Wiwa, diventando promotore principale della rivendicazione dei diritti della sua etnia. Rivendicazione sociale e battaglia politica che purtroppo nel 1995 gli costeranno la vita.
Il movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni
Nel 1990 lo scrittore e attivista fonda un movimento pacifico chiamato MOSOP, ovvero Movement for the survival of the Ogoni people. Questo movimento era basato su una forte denuncia sociale tramite metodi non violenti per puntare i riflettori sulla distruzione dell’ecosistema del territorio del Delta e sull’autodeterminazione della popolazione degli Ogoni, popolazione ignorata, abusata e costantemente silenziata sia dai giganti petroliferi, in particolare la multinazionale Shell, che anche da parte del proprio governo centrale per interessi economici ed accordi con le multinazionali petrolifere.
Gli Ogoni erano quindi le prime vittime di questo spietato strangolamento economico e l’attivismo di Ken Saro-Wiwa fu fondamentale per dare visibilità alla condizione angosciante e umiliante nella quale essi riversavano, anche se tutt’oggi questo, come tanti altri, rimane un popolo straziato dalla sete di ricchezza e dalla totale mancanza di empatia e solidarietà umana. Il movimento MOSOP di Wiwa raggiunse notorietà e successo globali, soprattutto grazie al raduno pacifico tenutosi il 3 gennaio 1993 al quale parteciparono 300 mila persone per manifestare per i propri diritti.
Grazie proprio alla clamorosa risonanza ottenuta dalla manifestazione, lo stesso anno la Shell, sotto la pressione internazionale, decise di abbandonare il territorio degli Ogoni, rappresentando una vittoria storica per la comunità e una dura sconfitta per le multinazionali. Tuttavia, questa vittoria fu effimera e macchiata dal sangue. L’organizzazione di un raduno così imponente, che aveva osato sfidare il potere economico e politico nigeriano, attirò su Ken Saro-Wiwa l’odio delle élite, che videro in lui una minaccia troppo pericolosa da tollerare.
Le rappresaglie furono immediate e feroci: assalti armati ai villaggi, arresti arbitrari e un clima di terrore si abbatterono sugli Ogoni. Wiwa, divenuto il volto della resistenza, fu arrestato più volte e sottoposto a un processo farsa che culminò nella sua esecuzione.
Arresti e sangue per fermare Ken Saro-Wiwa
Nel 1994, con il Paese stretto nella morsa della dittatura militare di Sani Abacha, la repressione si abbatté con violenza inaudita sugli Ogoni. In un clima di crescente tensione e paura, Saro-Wiwa e altri otto attivisti vennero arrestati e gettati in prigione. Le accuse, infamanti e prive di qualsiasi fondamento, furono costruite ad arte per screditare il movimento e giustificare una condanna già decisa. Il processo, una farsa orchestrata dal regime, si svolse in un’atmosfera di terrore, con testimoni compiacenti e prove manipolate. L’obiettivo era chiaro: eliminare fisicamente Saro-Wiwa e zittire per sempre la voce degli Ogoni.
L’intero processo fu un processo farsa, privo di interrogatori, di prove e di possibilità di difesa alcuna per gli accusati. Questo perché l’obiettivo era uno solo ed era molto chiaro: fermare Ken Saro-Wiwa, il cui attivismo e azioni di protesta aumentavano la consapevolezza dei cataclismi causati dagli interessi intorno al petrolio e ne rallentavano, o addirittura bloccavano l’estrazione. Il 31 ottobre 1995 infatti, il processo farsa si conclude con la condanna a morte di tutti gli accusati e il 10 novembre essi vengono giustiziati per reati non commessi.
Particolarmente brutale fu l’esecuzione di Ken Saro-Wiwa, costretto ad assistere, impotente e terrorizzato, alla morte atroce di tutti gli altri attivisti. Giunto il suo turno, venne sottoposto a una tortura inaudita: sfregiato con l’acido in volto, fu privato della sua identità, in un ultimo atto di disumanità da parte dei suoi carnefici. Solo nel 2005, dopo anni di battaglie legali e di dolore, i suoi figli riuscirono a riportare a casa le spoglie paterne, martoriate ma riconoscibili, per dargli finalmente la degna sepoltura nel suo villaggio. Estremamente rilevanti sono le parole scritte da Saro-Wiwa prima dell’esecuzione:
“Signor Presidente, io sono un uomo di pace, di idee. Inorridito dall’umiliante povertà del mio popolo, che pure vive su una terra ricca; angosciato per la sua emarginazione politica e per lo strangolamento economico di cui è vittima; indignato per la devastazione del suo territorio, che ne è patrimonio fondamentale; deciso ad ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto non solo alla vita ma a una vita decente. Perciò ho dedicato tutte le mie risorse materiali ed intellettuali, tutta la mia vita, in una causa in cui credo ciecamente, sulla quale non posso essere zittito. Non nutro alcun dubbio sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tribolazioni, io e coloro che credono con me in questa causa, potremo incontrare nel corso del nostro cammino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale. Signor Presidente, tutti noi siamo di fronte alla Storia. Lo ripeto: siamo tutti di fronte alla Storia.”