Anna è una ragazza sui vent’anni, e passa le sue giornate a guardare fuori dalla finestra: sogna il suo futuro, le tristi e gioiose giornate che passerà passeggiando in un antico paese, pieno di splendore, naturalezza e semplicità. Sogna il suo lavoro: raccontare di chi non ha voce ma grida comunque, raccontare quello che nessuno racconta o che nessuno vuole raccontare. Sogna di passeggiare lungo la spiaggia e fissare il mare d’inverno, sogna i sorrisi della gente, quella gente che sorride nonostante tutto e sogna di poter sorridere un giorno. Condivide le giornate con le proprie catene mentali, è incatenata a sé stessa e non trova il modo di liberarsene. Anna non esce ormai da anni, ha abbandonato la scuola e ogni tipo di contatto con il mondo esterno, per paura. Vive nei suoi sogni, vive delle sue speranze e dei suoi libri, l’unica reale medicina e vive con le poche persona che sono rimaste al suo fianco. La paura di Anna ha un nome e si chiama agorafobia. L’agorafobia è, in poche parole, la paura degli spazi aperti, per cui chi ne soffre tende ad evitare ogni situazione esterna che possa scatenare un attacco di panico . Per questo Anna evita di allontanarsi da casa, di andare alle feste, di fare la spesa, di incontrare persone (se non amicizie strette) o di fare una semplice passeggiata all’aria aperta. Per quanto possa sembrare sofferente, in realtà, chiudersi in casa è l’unico sollievo. Quando esce le sensazioni che prova sono a dir poco spaventose, si scatenano in lei una serie di sintomi che portano al pensiero della morte: l’immagine del suo corpo steso a terra invade invade la mente, le gambe iniziano a tremare, la vista si fa sempre più sfocata e il cuore decide improvvisamente di fuoriuscire dal petto e farsi una passeggiata. Se non fosse per questi piccoli ma spaventosi sintomi Anna potrebbe continuare in tranquillità la sua passeggiata, invece l’unico modo di tranquillizzarsi, in quel momento, è vedere e percorrere la strada di casa. Arrivata a casa, ovviamente, tutto passa, tranne la paura. La paura che impedirà ad Anna di uscire il giorno dopo, e nemmeno l’altro e l’altro ancora. Non fa niente per cambiare, niente per uscire, non le interessa nemmeno più, sai la classica storia della volpe quando non arriva all’uva. Ha i suoi libri, la sua penna e i suoi sogni che le danno sicurezza. Finché una mattina, spinta dalla voglia insaziabile di sentirsi il vento nel viso, Anna esce, cammina, corre, con le gambe tremolanti e il cuore a mille, ma continua, non si ferma, il desiderio di libertà è più forte della paura, e ci riesce. Quando si ferma, però, si rende conto che si trova ormai lontana da casa e riparte tutto, il cuore le gambe, la vista, ma questa volta non scappa, si siede chiude gli occhi e piange, ininterrottamente, quel pianto le dà sollievo ora, e il cuore inizia a battere con regolarità, la vista torna normale e le gambe libere; in quel momento Anna capisce che le sue paure possono essere gestite, che la vita fuori è piena di opportunità, che può realizzare i suoi sogni e decide di intraprendere un percorso terapeutico, di capire il perché ha queste paure e cosa le scatena. Un anno dopo Anna si trova seduta su quel treno che per anni ha sognato di prendere, e abbracciando il suo libro guarda felice fuori dal finestrino la sua vita, che è riuscita a riprendersi. Adesso passeggia lungo la spiaggia e con gli stessi occhi con cui lo sognava, fissa il tramonto…
Il motivo per cui ho raccontato questa breve storia è perché Anna sono io, o per lo meno metà Anna sono io. Io sono quella che sogna ancora, quella che passa le giornate a guardare fuori dalla finestra e ha paura. E chissà, magari un giorno potrò essere Anna per intero, seduta su quel treno senza aver paura.