Come si conquista un continente: la Turchia in Africa

La Turchia in Africa

La Turchia in Africa

La competizione tra grandi e medie potenze globali per la supremazia in Africa è iniziata da più di un ventennio. L’influenza dei paesi europei, che hanno colonizzato e sfruttato per secoli il continente, è sempre meno rilevante e lascia spazio all’emergere di nuovi attori pronti a giocarsi a loro modo l’opportunità di diventare partner strategici dei Paesi africani emergenti.

Di nuovo in Africa

L’interesse del mondo verso il continente africano è notevolmente aumentato nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Paesi come Russia, Stati Uniti, Cina e Francia competono da decenni per ampliare la loro presenza e influenza nel maggior numero di paesi africani, ma non sono i soli.

Da almeno vent’anni la Turchia ha adottato una politica che mira a intensificare relazioni diplomatiche, commerciali e strategiche nel continente e l’intenzione è quella di procedere in questa direzione. Questo avviene  anche alla luce dello stallo nelle trattative con la Commissione Europea per il progetto di inclusione di Ankara nell’Unione.

Nel Paese il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Recep Tayyip Erdoğan, che governa continuativamente e in maniera dispotica dal 2002, ha saputo espandere l’influenza della Turchia in Africa in maniera considerevole.

La strategia turca di penetrazione nei nuovi mercati africani prevede l’implementazione di una fitta rete di relazioni culturali, economiche, militari, istituzionali, politiche e diplomatiche che rendono proporzionalmente la Turchia seconda solo alla Cina in quanto a risultati. Questo successo è evidente soprattutto in regioni quali il Nord Africa, il Corno d’Africa, il Sahel e il Sudafrica.

La nuova politica di Ankara per l’Africa fu implementata nel 2003 ma prese ufficialmente il via dal 2005. In quella che possiamo considerare una prima fase di questo processo, ovvero sino al 2010, fu da subito evidente come l’attività turca nel continente fosse parte di una strategia di lungo respiro, al contrario di approcci di Paesi quali la Russia o l’Italia.



Le strategie turche in Africa: diplomazia

Dal 2008 la Turchia dichiara di voler ampliare la rete di relazioni diplomatiche in Africa attraverso l’apertura di nuove ambasciate. Da quell’anno al 2023 il numero di Paesi che ospitano una rappresentanza diplomatica turca è passato da 12 a 43. In Somalia, nella capitale Mogadiscio, Ankara ha aperto la sua più grande ambasciata al mondo.

Il presidente Erdoğan negli ultimi 10 anni ha visitato il continente più di 50 volte, ospite di oltre 30 diversi Paesi. Dal 2005 l’Unione Africana riconosce alla Turchia lo status di osservatore speciale, il 2005 fu per l’appunto battezzato da Ankara come “anno dell’Africa”.

Il 2008 vide invece l’avvento del primo Turkey-Africa Partnership Summit con la partecipazione di 49 paesi africani riuniti a Istanbul per definire i termini di accordi e collaborazioni in settori strategici con il Paese asiatico che, nello stesso anno venne promosso a partner strategico dell’Unione Africana.

Altri incontri analoghi si sono ripetuti nel 2014 e nel 2021, in continuità con la strategia turca volta a tessere legami diplomatici stabili, obbiettivo per il quale il presidente Erdogan non manca di sottolineare le differenze con l’Europa e il suo passato coloniale.

Nella retorica del AKP la Turchia, al contrario delle potenze del vecchio continente, non è macchiata dall’infamia del colonialismo, non pretende di ingerire nelle politiche dei Paesi con i quali collabora e non inneggia opportunisticamente e in maniera ipocrita al rispetto dei diritti umani, allo stato di diritto e ai principi democratici.

Al contrario, si presenta come alternativa agli approcci neocoloniali dell’Europa, si batte per far fronte alle ingiustizie a livello globale e denuncia l’imperialismo mascherato dell’occidente. Posizioni queste che non hanno mancato di scatenare la reazione avversa di Paesi i cui interessi possono essere messi a rischio da questa dialettica, Francia in primis.

Turkish Airlines

La strategia turca di penetrazione in Africa prevede diverse strategie. L’apertura di sedi diplomatiche e stata affiancata dall’implementazione di nuove tratte aeree da e verso una miriade di Paesi africani.

Turkish Airlines si attesta come la compagnia area che offre il maggior numero di destinazioni al mondo, raggiungibili principalmente da Istanbul e Ankara. Sono infatti più di 300 e interessano 120 Paesi diversi.

Ad oggi nel continente africano la compagnia di bandiera turca viaggia verso 44 destinazioni. Il picco è stato raggiunto nel 2019 arrivando a toccare 52 diverse destinazioni, prima che l’effetto della pandemia ridimensionasse il fenomeno.

Economia

Gli scambi commerciali tra Ankara e il continente africano hanno visto il volume d’affari crescere di ben 6 volte nel periodo compreso tra il 2003 e il 2022, arrivando a toccare i 30,4 miliardi, rispetto ai 5,4 di partenza.

Le grandi potenze globali quali Cina, Stati Uniti, India e le maggiori economie europee segnano cifre superiore alla Turchia, ma l’incremento proporzionale è secondo solo al colosso cinese che nel 2022 è arrivato a toccare i 282 miliardi di dollari.

La Turchia ha comunque superato la Russia in quanto a introiti e la crescita di questi scambi è destinata ad aumentare nei prossimi anni con l’obbiettivo dichiarato di raggiungere i 50 miliardi.

Altro dato favorevole al Paese anatolico è dato dalla bilancia commerciale con l’Africa che segna un 70% di esportazioni, superiore persino alla Cina che si attesta al 60%.

Il valore complessivo degli scambi tra Italia e i Paesi africani è stato di 68 miliardi nel 2022, in lenta crescita dal 2003 quando si attestava a 26,6. Dato recentemente in aumento anche a causa del forte rincaro delle importazioni energetiche dal continente, conseguenza della guerra in Ucraina, ma in questo caso la bilancia commerciale è in disavanzo, ovvero con esportazioni italiane inferiori al 50%.

Gli investimenti diretti esteri (IDE) rappresentano un altro grande settore in crescita, passato da 100 milioni del 2003 a più di 3 miliardi nel 2022. Si parla di IDE quando l’intenzione da parte di operatori finanziari stranieri e quella di investire per creare durevoli partecipazioni in aziende di un Paese terzo per il controllo partecipato, parziale o paritario, di un’impresa. È il fenomeno alla base della globalizzazione dell’economia mondiale. 

L’Etiopia, il paese che beneficia maggiormente di questi scambi, ha impiegato più di 25 mila lavoratori in aziende partecipate dallo stato turco.

L’espansione nel Corno d’Africa e nella regione del Sahel rappresenta uno sforzo di diversificazione dei mercati compiuto dalla Turchia per ampliare le arie di influenza.

Storicamente Ankara ha mantenuto una forte presenza nei paesi del nord Africa, che erano un tempo parte dell’Impero Ottomano, e dell’Africa occidentale; area quest’ultima alla quale la Turchia ha rivolto la propria attenzione in maniera prioritaria per via della vicinanza geografica.

Intelligence e Difesa

I settori maggiormente interessati negli scambi economici sono le infrastrutture, l’edilizia e le imprese ad essa collegate: siderurgia, cemento, costruzioni, elettronica ma anche l’industria tessile e da ultimo il settore della difesa e dell’intelligence.

Ankara ha dalla sua la possibilità d’esportazione del “know how” letteralmente saper come, che in questo contesto si traduce con l’esportazione dell’esperienza turca legata a come operare in contesti che vedono la presenza di organizzazioni paramilitari non statuali. In altri termini la lotta al terrorismo.

Nel caso della Turchia si tratta dell’esperienza accumulata in anni di repressione sistematica delle minoranze, specialmente quella curda e della lotta al dissenso interno. Quest’ultimo aspetto interessa fortemente i neonati regimi sorti dall’ondata di colpi di stato che hanno afflitto il continente africano tra il 2020 e oggi. Il fenomeno è chiamato dalla stampa “Cintura dei Golpe” e ha portato alla destituzione di ben sette governi dalla Guinea al Sudan, attraverso tutta la regione del Sahel, includendo il Mali, il Burkina Faso, il Niger e il Gabon.

La lotta all’antiterrorismo e alla repressione dei movimenti estremisti ha quindi comportato la crescita delle relazioni turco-africane in ambito di sicurezza e la conseguente vendita di armi.

La competitività turca in questo settore è dovuta alla capacità di produzione di armamenti efficaci ed economicamente accessibili, condizione che ha condotto più di 30 paesi a sottoscrivere accordi di difesa con Ankara per combattere la minaccia Jihadista di gruppi quali al-Shabab, molto attivo nella regione del Sahel.

Il giro d’introiti legato alle armi turche in Africa è comunque limitato e molto contenuto rispetto ad altri paesi che investono in questo settore, ma la crescita registrata dopo il 2021 rimane consistente avendo aumentato di 5 volte il valore complessivo rispetto al periodo 2015-2021 passando da circa 80 milioni annui a 461 miliardi registrati nel 2021.

I prodotti più richiesto sono armi leggere, veicoli blindati ma anche navi militari e sistemi di sicurezza e sorveglianza. I droni militari sono invece i maggiori responsabili dell’aumento degli scambi, impiegati per esempio nel recente conflitto nel Tigrai, dove hanno avuto un forte impatto sulle sorti della guerra.

I principali acquirenti negli ultimi anni sono stati Burkina Faso, Mali e Ciad. Per questi ed altri Paesi quali Niger e Libia la Turchia si è attestata tra il 2017 e il 2022 come quarto fornitore di armamenti, dopo Cina, Stati Uniti e Russia, superando la Francia che ha perso autorevolezza e peso specifico in diverse nazioni soggette a cambi di regime e instabilità politica.

Questo è stato possibile grazie al dialogo che Ankara ha saputo mantenere con le giunte golpiste in Niger, Nigeria e Libia. L’auspicio di Erdogan è stato espresso in favore della stabilità politica ed economica, con accenni al ritorno all’ordine democratico auspicati ma mai imposti attraverso la coercizione o l’uso della forza.

Le liste di attesa per la fornitura dei droni Bayraktar TB2 sono arrivate sino a 3 anni proprio per via del loro facile impiego e mantenimento, ma soprattutto grazie alla competitività economica rispetto ad altri fornitori come la Francia e al disinteresse turco sui fini e l’impiego di tali armamenti.

 Cultura, religione, organizzazioni benefiche e umanitarie

La strategia turca di penetrazione nei mercati africani ha saputo sfruttare diversi fattori che ne hanno decretato il successo. Economia, diplomazia e difesa hanno giocato un ruolo importante, ma sul piano ideologico la battaglia intrapresa da Ankara per promuovere la sua immagine di partner strategico ha potuto far leva su una vicinanza culturale e religiosa con i paesi che condividono la fede islamica.

L’Islam è infatti religione maggioritaria nella quasi totalità dei paesi che hanno stretto relazioni privilegiate con la Turchia. Il concetto stesso di beneficenza, carità e assistenza ai poveri è un precetto portante della fede islamica e un aspetto della vita del mussulmano che è fortemente regolamentato rispetto alla religione cristiana.

Un ambito di questa regolamentazione riguarda le fondazioni pie, in Arabo Waqf. La Turchia di Erdoğan, quando questo era ancora legato ideologicamente e politicamente al magnate Fethullah Gülen ha intrapreso, sotto la guida e i consigli del miliardario, un’ampia opera di beneficenza e assistenza alla comunità musulmana di molti paesi africani.

Parliamo di diverse istituzioni, che operano nei contesti più disparati e nella quasi totalità dei paesi africani. La TIKA, che promuove lo sviluppo delle nazioni di origine turca, fu fondata nel 1992. Nel 2005, anno del Africa per la Turchia, apre la sua prima sede africana in Etiopia. Da quel momento ha ampliato la sua presenza con 22 sedi di rappresentanza che operano nei settori della formazione professionale, assistenza sanitaria e approvvigionamento idrico.

La Mezzaluna rossa turca o Türk Kizilay, opera in contesti di crisi offrendo assistenza medica. La Maarif Foundation (Türkiye Maarif Vakfi), che si occupa di educazione attraverso la fondazione di ben 175 scuole in 25 paesi che ospitano circa 17.000 studenti. Quest’ultima fu appunto creata nel 2016 per incorporare l’opera della rete di Fethullah Gülen, il movimento Hizmet, a seguito della rottura tra Erdoğan e Gülen.

Questo scontro ai vertici della leadership turca produsse il plateale tentativo di colpo di stato del 2016 in Turchia, che sancì il divorzio politico tra i due ex alleati. Erdoğan su alcune questioni non ha mai smesso di procedere lungo la via indicata da Gülen, per questo le sue iniziative sopravvivono anche alla scomparsa del grande studioso dell’Islam avvenuta in ottobre di quest’anno. L’offerta di 60.000 borse di studio per giovani africani che vogliono studiare in Turchia è un ulteriore esempio.

L’Istituto Emre Yunus offre invece la promozione della lingua turca nel continente africano. L’ultimo campo in ordine cronologico sul quale la Turchia ha deciso di investire è quello dell’informazione. L’agenzia di stampa Anadolu Agency ha aperto nel 2014 nella capitale etiope Adis Abeba.

Trt World, canele di informazione in lingua inglese e francese ha aperto nel 2015. L’attivismo in questo settore è mosso dalla volontà di competere con i grandi network dell’informazione che operano nel continente tra i quali compaiono BBC, CNN, France 24, Reuters, Al-Jazeera, Afp che, non a caso, fanno riferimento ai paesi maggiormente attivi per primeggiare in questa nuova corsa all’Africa e alle sue risorse.

Fabio Schembri

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