La storia di Oscar Tabarez, vissuta durante gli ultimi Mondiali, ha riportato alla memoria la mitica gestualità di Enrico Toti. Mi riferisco al momento, in cui il suo Uruguay segna, e dimentica l’esistenza di una stampella, che è lì per aiutarlo a stare in piedi, pur di proiettarsi verso i giocatori, ed abbracciarli.
Ma, ora, il fatto che la Federazione del suo paese lo abbia confermato, praticamente a vita, come commissario tecnico della Nazionale, nonostante una malattia inguaribile, è l’idea della disabilità, che induce a riflettere.
Quella disabilità che, agli occhi superficiali di noi normodotati, è semplicemente un ostacolo, che ti impedisce di vivere pienamente l’esistenza.
Al contrario, vista in chiave psicologica, e anche cristiana, diventa una forma rara di ricchezza interiore.
Cosa voglio dire? Voglio dire che, non puoi più badare ai valori effimeri, che la totale disponibilità di una testa, 2 braccia e 2 gambe, abbinate alla gioventù e alla salute, ti consentirebbero.
Ma riesci a fare di necessità virtù, perché si affina la tua capacità di guardare in profondità, dentro te stesso, e dentro il cuore degli altri, in quanto limitato a livello fisico, ma non spirituale.
Per questo, credo che la scelta della Federazione uruguayana sia un esempio per il mondo intero, che va ben oltre i contenuti abituali dello sport business, imperniati su una girandola impazzita di entrate ed uscite, esborsi e guadagni, puramente materiali.
Tabarez è un “maestro di sport”, non in chiave metaforica, ma scolastica, nel senso che le sue origini sono quelle di istruttore di educazione fisica, considerato tanto, quanto dovrebbero esserlo i suoi colleghi in Itala. Ma questa… in un paese senza Ministro dello Sport, sostituito da un sottosegretario, è un’altra (brutta) storia.