Se Devereux analizzasse oggi l’uso della spunta blu per la creazione di identità false, ne parlerebbe in termini di rinuncia all’identità?
La spunta blu a pagamento è la novità che ha spinto migliaia di utenti di Twitter a creare parodie e profili falsi a imitazione dell’identità di aziende e personaggi conosciuti. In “La rinuncia all’identità: una difesa contro l’annientamento” (1964), Georges Devereux descrive il modo in cui si esplica la costruzione dell’identità da parte del soggetto, evidenziando il conflitto tra la volontà di appartenere a se stessi e l’essere contemporaneamente determinati dall’altro. Come scrive l’etnopsichiatra,
l’oggetto di questo studio è l’idea fantasmagorica che possedere un’identità sia un vero e proprio atto di tracotanza che incita automaticamente gli altri ad [annientarla].
É bastato poco tempo perché migliaia di utenti di Twitter approfittassero della possibilità di utilizzare un’identità digitale altra rispetto alla propria, agendo liberamente dietro lo scudo della difficoltà nell’essere identificati. Come l’autore del concetto di “psicosi etnica occidentale” analizzerebbe questo evento?
La spunta blu come simbolo identitario
Elon Musk ha lanciato la spunta blu a pagamento immediatamente dopo l’acquisizione di Twitter. Tutti gli utenti hanno avuto la possibilità di ottenere il servizio pagando 7 dollari e 99 centesimi al mese. Si tratta di un’opzione fin ora richiedibile gratuitamente in caso di società, politici e celebrità.
Migliaia di utenti hanno approfittato della novità per prendere di mira profili di aziende e celebrità con parodie di vario tipo. Tra la serie di account falsi ci sono: la casa farmaceutica Eli Lilly, che ha annunciato insulina gratis per tutti; uno George W. Bush fasullo che ha confessato una grottesca nostalgia per gli omicidi in Iraq; l’azienda della difesa Lockheed Martin, che ha dichiarato lo stop alla vendita di armi a Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita per la violazione dei diritti umani. Questa reazione di massa ha spinto il promulgatore della “piattaforma della libertà di parola per eccellenza” a sospendere il servizio poco dopo averlo promosso.
La spunta blu è diventata un simbolo a disposizione di chi vuole sostituirsi ad altri utenti. Si tratta di una “trollata” che consente di rinunciare temporaneamente alla propria identità per vestire l’io di qualcun altro senza subirne le conseguenze?
Georges Devereux e la rinuncia all’identità
Georges Devereux descrive l’identità come un processo creativo che ha inizio dalla prima infanzia attraverso l’assorbimento da parte del bambino di tutto ciò che lo circonda. L’autore spiega come, in genere, l’identità si formi attraverso un processo di “differenziazione per arricchimento”. In questa fase è fondamentale che la società dia all’individuo la possibilità di acquisire naturalmente tratti diversificati in modo da costruirsi un’identità unica. Diversamente, una “società patologica”, che vuole operare un controllo sui suoi componenti, tende a spronare lo sviluppo di comportamenti omologati, in modo da ridurre la gamma di atteggiamenti possibili e rendere le persone più prevedibili. Come spiega Devereux, si tratta di un processo di “regolarizzazione per riduzione” ed è particolarmente evidente nell’educazione dei bambini quando comportamenti “naturali” vengono sostituiti con “comportamenti artificiali” che la società vede come naturali. Un esempio è il fatto che a volte ai bambini venga insegnato “come essere bambini”.
Oltre a favorire le fissazioni, questa operazione tende a stimolare un processo di sviluppo dell’identità che opera in forma di “indifferenziazione per impoverimento”, mettendo in scena una definizione di normalità che rispecchia l’omologazione operata dalla società. Per questo motivo, esporre un’identità che presenta caratteri diversi rispetto a quelli dettati dalla società può apparire pericoloso a certe persone, in quanto significa essere vulnerabili. In questi casi, alcuni soggetti tendono a mettere in atto forme difensive di diverso tipo che possono trasformarsi in sintomi patologici. Come spiega Devereux, i pazienti meno gravi mascherano la loro identità e non si mostrano per quello che realmente sono, mentre quelli più gravi vi rinunciano. L’etnopsichiatra ne parla attraverso osservazioni che prendono in considerazione casi patologici diagnosticati, ma cosa accade se si analizza il rapporto tra i social media e la costruzione dell’identità digitale attraverso la sua riflessione?
Identità digitale come identità reale
Tipicamente contrapposta all’identità reale, l’identità digitale è la costruzione identitaria adoperata presso comunità virtuali. In genere, è lo stesso utente a sceglierne deliberatamente i tratti, in modo da avvalersi di un’identità precisa da mostrare pubblicamente. Se inizialmente vi era una scissione più o meno netta tra identità digitale e reale, oggi molte persone tendono a costruire la propria identità personale a partire dalla percezione che il mondo virtuale ha di loro, sfumando la distinzione tra la realtà e la virtualità. Infatti, il mezzo virtuale è un luogo dove potersi esprimere davvero, trovare appartenenza e autostima, e altresì il luogo dove nascondersi dietro un’identità falsa rispetto a quella reale.
La lettura più ovvia della vicenda dei troll della spunta blu non porterebbe nessuno a credere che la ragione della creazione di migliaia di profili falsi possa rientrare in ciò che Devereux definiva come una rinuncia o un tentativo di nascondere l’identità propria alla società, in modo da proteggerla. Infatti, sembra quasi che la spinta economica della “regolarizzazione” delle spunte blu da parte di Musk sia stata seguita da una reazione anch’essa di natura economica. Tuttavia, è facile intuire come lo schermo di un dispositivo possa fungere da scudo nella protezione dell’identità digitale. Se davvero l’identità digitale ha un’importanza fondamentale sulla costruzione dell’identità personale, potrebbe lo schermo essere un preludio a una forma di rinuncia all’identità personale, o un modo per nasconderla?
Stella Canonico