Correva l’anno 1944 e, mentre la guerra dilaniava un’Italia spaccata dall’armistizio dell’8 settembre ’43, il calcio non intendeva fermarsi. La Repubblica Sociale Italiana organizzò un campionato che, a causa del conflitto, fu sviluppato a livello regionale nelle aree ancora non occupate dagli Alleati. La suddivisione del paese provocò una conseguente frattura della FIGC e del CONI, sancita dallo spostamento delle sedi ufficiali da Roma a Venezia. Al Nord, Ettore Rossi, affiancato dal segretario Giuseppe Baldo, si autoproclamò presidente federale. I due furono gli ideatori del campionato di guerra 1944 che, pochi mesi più tardi, sarebbe stato vinto dalla squadra di La Spezia.
A Sud, invece, fino al giugno 1944 la Federazione venne affidata a Paolo Ventura e Giuseppe Malvicini. Discorso diverso per la Sicilia, dove gli anglo-americani avevano istituito, nel 1943, la Federazione Siciliana degli Sports, amministrata dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Dunque, mentre l’RSI riuscì ad organizzare diverse competizioni regionali, coadiuvandole poi in una fase interregionale finale, al Meridione la situazione risultò ben più intricata. Vennero, infatti, disputati solo alcuni tornei locali non facenti parte di un campionato maggiormente strutturato. A conclusione della competizione, però, sia l’RSI sia il Regno d’Italia disconobbero il miracolo calcistico degli spezzini. Il tanto meritato e desiderato riconoscimento arrivò solo il 22 gennaio 2002, anche se i liguri non ottennero l’attribuzione del campionato, bensì un titolo esclusivamente “onorifico”.
La struttura del campionato
Nei territori ancora non conquistati dalle forze alleate, i repubblichini organizzarono sette campionati regionali: piemontese-ligure, lombardo, veneto, giuliano, emiliano, toscano e romano. Il campionato di guerra ideato dall’RSI, poi rinominato Divisione Nazionale 1944, prevedeva inoltre che le migliori due squadre di ciascun torneo (fatta esclusione della vincitrice di quello romano, che avrebbe ottenuto direttamente il pass per la fase finale) accedessero a 3 gironi interregionali da 4 squadre ciascuno al fine di decretare le 4 concorrenti al titolo finale.
La liberazione di Roma, però, impedì alla compagine locale di partecipare al turno successivo, costringendo gli organizzatori del campionato a modificare anche la struttura del girone tosco-emiliano a causa dell’avanzata alleata in Toscana. La fase conclusiva della Divisione Nazionale 1944, infine, avrebbe previsto partite di sola andata giocate all’Arena di Milano, stadio dell’Ambrosiana-Inter, che avrebbero decretato la squadra vincitrice.
Le difficoltà della guerra
Tutto era pronto per l’inizio delle gare, nonostante le enormi difficoltà della guerra. Tuttavia, il torneo risultò profondamente influenzato dagli eventi bellici e dalle loro conseguenze. Innanzitutto, i giocatori classe 1924, 1925 e 1926, non potendosi sottrarre, se non per rare eccezioni, dalla chiamata alle armi, non avrebbero potuto partecipare alla competizione. Inoltre, essendo stato sospeso il tesseramento degli atleti a partire dal settembre del ’43, i calciatori si ritrovavano liberi di giocare per qualsiasi squadra a loro piacimento, a meno che non fossero stati vincolati da un contratto sportivo risalente alla stagione 1942-1943 o a quelle precedenti. In tal caso, in assenza di un’autorizzazione delle loro vecchie squadre, non avrebbero potuto dunque disputare il campionato.
Nonostante il pericolo costante dei bombardamenti o delle retate dei nazisti, migliaia di persone affollavano gli stadi in cerca di un briciolo di normalità. In caso di preallarme aereo, l’ordine era quello di rimanere in loco nell’attesa di ricevere conferma dalle autorità militari. Solo dinnanzi ad un pericolo imminente, le autorità avrebbero potuto evacuare l’impianto, trasferendo la popolazione nei rifugi antiaerei. Inoltre, le strade sconnesse rendevano gli spostamenti ancor più difficoltosi. In alcune situazioni i giocatori delle squadre ospiti dovettero perfino raggiungere gli stadi a piedi, perdendo poi le partite a causa della stanchezza.
La Spezia alla conquista del tricolore
L’origine del mito
Per avallare la problematica della leva obbligatoria, società come la Juventus e il Torino si associarono a corpi militari o aziende belliche, rispettivamente la Cisitalia e la FIAT, che avrebbero assunto i propri calciatori evitando loro il fronte. Discorso simile valse per l’A.C. Spezia, i cui giocatori vennero arruolati nel 42° Corpo dei Vigili del Fuoco locali fino alla fine della guerra. La società era in estrema difficoltà in seguito alla deportazione del presidente Coriolano Perioli nei campi di concentramento tedeschi.
Giacomo Semorile, ultimo dirigente rimasto, chiese dunque aiuto all’ingegner Gandino, comandante dei vigili del fuoco locali, per metter su una squadra in grado di partecipare alla Divisione Nazionale 1944. La neonata società “Gruppo Sportivo 42° Corpo dei Vigili del Fuoco“, formata da giocatori spezzini e da vigili del fuoco, partecipò al campionato emiliano pur essendo una squadra ligure (che sarebbe dovuta essere inglobata nel girone piemontese insieme alla Sampierdarenese e al Genoa). Tuttavia, a causa dei bombardamenti che avevano distrutto i collegamenti per il più vicino Piemonte, la squadra di La Spezia fu l’unica della sua regione a partecipare ad un campionato regionale diverso.
La vittoria nel campionato emiliano
Gli spezzini disputarono le partite casalinghe nello stadio del Carpi, a causa dei bombardamenti che avevano distrutto l’Alberto Picco di La Spezia. La squadra si spostava con un’autobotte che ogni volta trasportava sale da barattare con i contadini emiliani in cambio di viveri. Il campionato emiliano prevedeva una fase preliminare in cui le 19 squadre partecipanti si sarebbero affrontate in 4 gironi. Solo le migliori due di ciascun o avrebbero poi guadagnato l’accesso alle semifinali, che consistevano in altri 2 gironi da 4. Le vincitrici di entrambi i raggruppamenti, infine, si sarebbero sfidate in una doppia partita conclusiva.
La Spezia concluse facilmente il girone eliminatorio al primo posto, davanti a Suzzara, Fidentina, Parma e Busseto. Le semifinali, invece, risultarono particolarmente insidiose per gli spezzini che rimediarono due brutte sconfitte contro il Carpi e il Modena. Le deliberazioni del Direttorio della VII zona a causa di alcuni tesseramenti irregolari della squadra emiliana, annullarono però il 4 a 2 subito nello scontro con i modenesi, assegnando così ai liguri la vittoria a tavolino. Ciò permise alle Aquile di riguadagnare punti in classifica, arrivando addirittura a vincere il girone dopo le splendide prestazioni contro il Suzzara e la vittoria nel ritorno con il Carpi. Gli spezzini, infine, vinsero a tavolino la finale contro il Bologna in seguito alla sospensione della gara di andata e al successivo ritiro degli avversari.
La Spezia scrive la storia
Guadagnato l’accesso diretto alla fase finale dopo il forfait della Lucchese, gli spezzini affrontarono il Venezia e il Grande Torino di Vittorio Pozzo. La sera prima della partita inaugurale del girone finale, le Aquile arrivarono a Milano nel mezzo di un tremendo temporale. Avendo viaggiato su un furgone scoperto, i giocatori raggiunsero la città fradici e, nel tentativo di asciugare le divise sul fuoco, finirono però per rovinarle gravemente. Il giorno dopo, poco prima del fischio d’inizio, i calciatori del Venezia scambiarono addirittura gli avversari per barboni vedendoli così ridotti.
La partita del 9 luglio 1944 finì 1 – 1, dando al Torino un vantaggio notevole nella corsa al titolo. Il vantaggio spezzino di Renato Tori non bastò ed il Venezia riuscì a rimontare nella ripresa con Mario Astorri. Una settimana più tardi, però, avvenne il miracolo. In uno stadio semi-deserto a causa dei sempre più frequenti bombardamenti e dei rastrellamenti, il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco di La Spezia batté i campioni in carica per 2 – 1 con doppietta di Sergio Angelini. La vittoria aveva portato i liguri in cima alla classifica a 4 punti, seguiti dal Venezia a 1 e dal Torino ancora a secco. Quattro giorni dopo, il 20 luglio, i torinesi schiantarono i veneti per 5 – 2, regalando alle Aquile il trofeo.
La lotta per il riconoscimento
Alla fine del campionato, la FIGC della Repubblica Sociale Italiana dichiarò che il Torino sarebbe rimasto il detentore del titolo nazionale, mentre agli spezzini sarebbe andata la Coppa Federale del campionato di guerra. Il 5 ottobre 1944, inoltre, il Regno d’Italia dichiarò illegale l’RSI ed ogni suo atto governativo e organizzativo, tra cui lo stesso campionato. Nell’immediato dopoguerra, le squadre del Centro-Sud e altri enti appoggiarono la decisione di non riconoscere la validità della competizione. Alcuni adducevano all’evento un fine esclusivamente propagandistico, altri invece, sostenevano che le squadre del Centro e del Mezzogiorno avrebbero senza dubbio potuto vincere il torneo.
D’altro canto, gli spezzini sospettarono che questa decisione fosse stata fortemente appoggiata dal Torino per mantenere l’egemonia sul campionato italiano. La FIGC non arretrò di un passo, annullando perfino la fusione tra l’A.C. Spezia e il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco a causa del presunto mancato pagamento della tassa di affiliazione di questi ultimi. Dopo innumerevoli battaglie, nell’aprile del 2000, la FIGC istituì una commissione per valutare l’assegnazione del campionato 1944 alla compagine spezzina. Pur non avendo riconosciuto la competizione, il 22 gennaio 2002 è stato attribuito un titolo onorifico alla società ligure insieme alla possibilità di esibire permanentemente un distintivo commemorativo sulla divise della squadra.
Gli eroi di La Spezia
Al di là della fede calcistica e politica, una storia come questa dovrebbe essere raccontata e tramandata alle generazioni future. Il miracolo del 42° Corpo dei Vigili del Fuoco dovrebbe mostrarci l’importanza dello sport specialmente nei momenti più duri. Nonostante i bombardamenti, la fame e la devastazione provocata dalla guerra, la voglia di questi uomini di continuare ad inseguire un sogno donò, seppur per brevi istanti, una parvenza di normalità agli italiani accorsi negli stadi. Quei 90 minuti di emozioni, urla e fiati sospesi furono, ancora una volta, più forti dell’inferno che attanagliava il mondo intero.
In tante altre occasioni, infatti, lo sport ha dimostrato di essere più forte della guerra e della stupidità umana. Basti pensare alla tregua di Natale del 1914, quando sul fronte occidentale i soldati inglesi e tedeschi si sfidarono a calcio dopo essersi rifiutati di continuare a combattere, o perfino al gesto di amicizia tra le stelle del ping pong Chuang Tse-tung e Glenn Cowan in piena Guerra Fredda. Allo stesso modo, la storica impresa di Bani, Borrini, Amenta, Gramaglia, Persia, Scarpato, Tommaseo, Rostagno, Costa, Tori e Angelini merita di essere riconosciuta e celebrata come uno degli eventi più importanti e significativi della storia del nostro paese e non solo.
Grazie ragazzi
Alessandro Gargiulo