La solidarietà non è contrabbando: il caso della nave Iuventa

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Continuano i procedimenti penali verso l’equipaggio della nave Iuventa dell’Ong tedesca Jugend Rettet sotto sequestro per cinque anni.

Era il 2 agosto del 2017, la nave Iuventa veniva posta sotto sequestro in quanto accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo i sospetti, in almeno tre situazioni, l’equipaggio della nave si sia accordato con i trafficanti in Libia per imbarcare migranti e abbia accolto a bordo persone che non si trovassero in uno stato di emergenza. La nave avrebbe quindi funzionato da “taxi di mare”, prefissando i salvataggi nei quali avrebbero prelevato i migranti tra il settembre del 2016 e l’ottobre del 2017. Se volete approfondire la vicenda, ne parlammo già all’epoca accuratamente in questo articolo di Ultima voce.




Gli imputati, se ne contano 21 in totale tra le 3 navi di soccorso (Iuventa, Save The Children, Medici Senza Frontiere) e la compagnia di navigazione VROON, rischiano fino a 20 anni di carcere in caso di condanna.

A seguito di intercettazioni e indagini, i pm sostenettero che gli equipaggi agevolarono il traffico di migranti e aiutarono gli scafisti. Il processo è stato e continua ad essere parecchio difficile e, oltretutto, sembra aver fatto emergere moltissime irregolarità procedurali e metodi investigativi illegali verso gli imputati. Gli avvocati della difesa presentarono persino il ricorso alla corte di cassazione, ma questo venne negato. Nicola Canestrini, avvocato degli imputati, dice a questo proposito:

Quando i diritti del giusto processo sono violati, non può esserci democrazia: nel caso contro l’equipaggio della Iuventa abbiamo assistito a una pubblicità pregiudizievole nei confronti degli imputati e a una violazione del loro diritto alla presunzione di innocenza, a una durata irragionevole delle indagini, a illecite intercettazioni telefoniche, a un’interpretazione delle norme da parte dell’accusa che ha portato al tentativo di impedire a un imputato di testimoniare durante la fase investigativa, e alla negazione del diritto alla traduzione delle prove accusatorie.

Udienza del 10 febbraio 2023

Appena qualche giorno fa, c’è stata un’udienza del processo Iuventa. Purtroppo però, gli esiti continuano a preoccuparci. L’udienza è durata dieci ore e alla fine il Tribunale sembra aver respinto l’obiezione degli avvocati della Iuventa. Principalmente si è trattato il tema della qualità della traduzione e la richiesta da parte del governo di costituirsi parte civile. In un comunicato stampa rilasciato da Iuventa si legge che il Tribunale ha respinto l’obiezione degli avvocati secondo cui la qualità della traduzione durante gli interrogatori era insufficiente. Il GUP ha ammesso che sono stati commessi molti errori, ma ha ritenuto che questi possano considerarsi “mere irregolarità” e che il significato complessivo delle parti tradotte sia stato sufficiente per una generale equità.

L’esito è piuttosto sconcertante se si considera che esaminando il materiale audiovisivo dei tre interrogatori ha condotto il perito alla conclusione che gli interpreti forniti dalle autorità di indagine non potevano ritenersi idonei, in quanto intere parti dell’interrogatorio non potevano essere comprese dagli imputati.

Mary Lawlor sul caso della nave Iuventa

Molte sono le testimonianze rilasciate in questo periodo, tra cui compare quella dell’attivista imputato Dariush Beigui o dell’imputata Kathrin Schmidt, quest’ultima dice:

Il tribunale si rifiuta di garantire pienamente il nostro diritto alla difesa, di poter comprendere le accuse contro di noi, di assicurare una partecipazione effettiva e l’equità del processo. Questo accade in un caso che gode di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, per cui è facile immaginare le conseguenze devastanti nei numerosi casi contro persone migranti che invece non godono della nostra visibilità.

Indignazione, rabbia e sconforto sembrano ricoprire il Paese in questo momento. I procedimenti sono “una macchia che oscura l’Italia e l’impegno dell’UE per i diritti umani” afferma Mary Lawlor (ONU): “Sono stati criminalizzati per il loro lavoro sui diritti umani. Salvare vite non è un crimine e la solidarietà non è contrabbando”.

Giulia Sofia Fabiani

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