A giorni alterni, ormai da parecchi mesi, capita di udire qualche portavoce del Movimento 5 Stelle intento a sottolineare come la sindaca di Roma, Virginia Raggi, si trovi costantemente sotto attacco da parte di tutte le forze politiche in campo.
Queste lamentele, poiché altro non sono, denotano tuttavia due elementi strutturali nella concezione politica pentastellata. Il primo elemento è un insolito modo d’intendere lo scontro partitico. Il secondo, invece, è rappresentato dalla costante assenza di autocritica che, in casi come questo, dovrebbe portare a chiedersi, come minimo, se non sia lo stesso movimento, talvolta, a contribuire all’isolamento della sindaca di Roma. Senza entrar nel merito di una valutazione dell’operato della sindaca Raggi, dunque, sarebbe quantomeno utile analizzare questi due elementi che, sempre più, stanno contribuendo ad affossare il Movimento.
Il primo, già citato, riguarda appunto una maniera tutta peculiare d’intendere lo scontro partitico. Il Movimento infatti, come gran parte dei gruppi politici che intendono catalizzare la “voce del popolo“, -termine vuoto, insignificante e con l’assurda pretesa di universalizzare il consenso, trasferendolo dall’elettorato all’intera popolazione italiana,- è incapace di accettare l’opposizione. Il Movimento si è definito, fin dalla sua nascita, come portatore d’idee nuove, rivoluzionarie, scelte e decise dal basso. Accanto a questo concetto, inoltre, è sempre stata presente la convinzione che qualsiasi idea proveniente dal “popolo” debba essere, per forza di cose, giusta e condivisibile.
In questo schema concettuale rigido e poco elastico, che pretende anche di superare la divisione politica, non c’è spazio per l’opposizione. Non c’è spazio perché se io definisco me stesso come “portavoce del popolo“, che ruolo dare a chiunque rifiuta le mie idee? Nel ragionamento semplicistico del Movimento esiste solo un popolo per ogni nazione, dunque, può esistere un solo portavoce dello stesso. Chi si oppone a determinate idee, quindi, si sta opponendo, del tutto, alla volontà popolare, in favore d’interessi particolari o, per usare le parole del Movimento, “di casta“.
Il ruolo dell’opposizione democratica viene quindi rifiutato e declinato come semplice bisticcio.
Prima di salire al governo, il Movimento si era mostrato un fervente oppositore di gran parte delle politiche governative. Una volta preso in mano il potere, però, questa combattività entusiasta si è rapidamente mutata in un silenzioso e traballante incespicare nella complessità della gestione dello stato. La volontà di opporsi rimane viva, ma non è più indirizzata verso soggetti reali, bensì contro un passato che, appunto, è semplicemente già sparito. Il Movimento fa ancora opposizione contro il Pd e le sue politiche. Scadendo, già dopo un anno, in un anacronismo raramente condivisibile. Al contrario non viene posta quasi alcuna opposizione alle azioni di governo della Lega che, pur andando contro molti ideali del Movimento, agisce sempre e comunque indisturbata.
Le critiche che dall’esterno attaccano il Movimento non vengono mai comprese. Si tratta sempre di attacchi. “Tentativi di boicottaggio“, aggressioni e altre cose simili. Se il movimento detiene tra le mani lo spirito del popolo, gli altri sono solo delle resistenze. Persone e partiti incapaci di comprendere la portata epocale delle idee pentastellate. Per quale motivo, dunque, dare ai discorsi d’opposizione un peso reale? Ed ecco quindi che spesso si preferisce lamentarsi delle critiche ricevute, sgranando gli occhi incapaci di comprendere come mai, “tutti gli altri“, non siano capaci di capire l’assoluta necessità dei programmi proposti. Le opposizioni interne, invece, sono isolate e silenziate il più in fretta possibile
Questo ci riporta immediatamente alla sindaca di Roma, Virginia Raggi. Cosa c’entra con tutto questo?
Inizialmente ho ricordato che, a fasi alterne, i leader del Movimento si lamentano della fervente opposizione che tutti i partiti stanno facendo alla sindaca di Roma. La lamentela ha ovviamente lo scopo di discolpare la sindaca da qualsiasi responsabilità, proiettandola sulle forze d’opposizione. Forze colpevoli di non lasciar lavorare in tranquillità la sindaca. Il Movimento dimostra, così facendo, di non aver compreso il ruolo di primaria importanza rivestito dal Sindaco di Roma. Indipendentemente dal partito di appartenenza e dalle politiche proposte, infatti, il Sindaco di Roma è destinato a posizionarsi tra il fuoco incrociato dello scontro politico.
Ogni partito vorrebbe infatti la testa della Raggi. E quando dico ogni partito intendo davvero “ogni partito“. A chiederne le dimissioni, nel corso della sua legislatura, si regista la Lega, il Pd, Fratelli d’Italia e anche Forza Italia. Tutti, almeno una volta, hanno invocato le dimissioni della sindaca pentastellata. Ad ogni richiesta di questo tipo, però, il Movimento risponde sempre allo stesso modo: “Ci stanno attaccando senza motivo“. “Non vogliono farci lavorare“. E così via. E così via. Il tutto condito da quella sorta di superbia mal celata. Spesso riconoscibile nel sorriso di Di Battista, o di Travaglio, davanti ad ogni critica, magari anche costruttiva, ma immediatamente tacciata come “incomprensione” o peggio, “volontà di tornare alle vecchie politiche in favore della casta“.
L’isolamento di Virginia Raggi
Ogni volta che il Movimento lamenta l’opposizione fatta ai danni della sindaca di Roma, ricorda come essa si trovi, in realtà, sempre più isolata e sola. Questo isolamento però non può essere causato dalle forze politiche avverse. La loro opposizione è infatti attendibile e giustificata. Nessun soggetto, di nessun partito, può infatti ricoprire un ruolo importante come quello della Raggi, senza il costante scontro con tutte le altre forze politiche.
Questo isolamento, confermato e ricordato, ciclicamente, dallo stesso Movimento, si manifesta all’interno di una giunta composta da 48 consiglieri di cui 28 pentastellati. L’unico isolamento che può risultare effettivo e dannoso, per la sindaca di Roma, risiede quindi all’interno del Movimento stesso. Non può esser causato da altre forze esterne. Questo ci riconduce immediatamente al secondo elemento, problema strutturale del Movimento, che ho riportato a inizio articolo: la mancanza di autocritica razionale.
I rapporti tra la sindaca e il Movimento, infatti, sono tutt’altro che positivi. Le stonature sono iniziate a seguito dei fatti di Casal Bruciato, a maggio 2019. La sindaca, in quell’episodio, si posizionò in prima linea nella difesa del diritto, di una famiglia rom, ad abitare in una casa popolare legittimamente assegnata. Il gesto le costò una vera e propria shitstorm portata avanti da esponenti di estrema destra e dai residenti della zona.
Ad aggravare la situazione e a generare, realmente, l’isolamento, contribuì Di Maio.
Il Movimento, infatti, si schierò ufficialmente contro la sindaca, affermando che le famiglie romane e italiane dovessero avere la priorità per quanto concerne l’assegnazione delle case popolari. Solo Pd e Forza Italia appoggiarono il gesto della Raggi, complimentandosi per il coraggio. Complimenti che, in fin dei conti, mi sento anche in dovere di rinnovare, sia per l’ovvio motivo condivisibile della sua battaglia, sia perché fa sempre piacere osservare una persona che, uscendo dalle maglie stringenti del suo partito di appartenenza, dimostra la volontà di combattere per ciò che ritiene giusto.
Subito dopo l’evento il Movimento si è affrettato a mostrare come, in realtà, non vi sia alcuno scontro tra la sindaca e il gruppo pentastellato. Tuttavia, alla luce dell’isolamento della sindaca, che Di Maio e Di Battista si divertono spesso a porre in primo piano, dovremmo anche noi farci qualche domanda. Dovremmo chiederci se non sia proprio il Movimento ad isolare e mettere in secondo piano l’operato della sindaca più importante d’Italia.
Andrea Pezzotta