Il caso di Blanche Monnier, “la sequestrata di Poitiers”, una donna segregata nella sua stanza per 25 lunghi anni, prigioniera nello spazio e nella mente. Colpevole solo di essersi innamorata, nel silenzio della sua reclusione si coglie un disperato grido di solitudine e una lezione per tutti sul dramma dell’indifferenza.
Dall’amore al calvario
Blanche Monnier nasce a Poitiers, in Francia, nel 1849. Cresce in una famiglia abbiente, conosciuta e rispettata dalla società, con i genitori e il fratello, Marcel. Il suo calvario, che la farà passare alla storia come “la sequestrata di Poitiers”, inizia a 24 anni, quando si innamora di un avvocato parigino. Un’unione inaccettabile agli occhi della madre, Madame Monnier, considerando l’età dell’uomo (trent’anni più grande di Blanche) e il divario economico tra i due. Preludio dell’imminente tragedia è la creazione di un muro intorno alla ragazza per osteggiare la sua relazione.
Alla morte del padre, la situazione degenera: le braccia materne, simbolo per antonomasia dell’accudimento, si trasformano in quelle di uno spietato carnefice. Per impedire alla figlia di fuggire e di ricongiungersi all’amato, Madame Monnier, con la complicità di Marcel, la costringe in una stanza al piano superiore dell’ampia dimora, la lega al letto e sigilla la porta con un lucchetto. L’unica finestra viene oscurata con tende pesanti, negando così a Blanche anche il contatto con la luce: per 25 anni non esisterà nulla al di fuori del buio, del dolore e dell’emarginazione. Nascosta al mondo per scongiurare le dicerie dei benpensanti su quel fidanzamento sconveniente, trattata alla stregua di una bestia, nutrita con pochi avanzi e lasciata a consumarsi, anima e corpo, la sventurata sarà divorata dalla follia fino al ritrovamento.
Il ritrovamento
Dopo anni di indicibile strazio, nel 1901, finalmente arriva un segnale di denuncia: una lettera anonima, indirizzata al Procuratore generale della città, in cui si accenna alla condizione di reclusione di una donna, che vive sepolta nella propria sporcizia.
L’irruzione della polizia in rue de la Visitation, sede della prigione di Blanche, è restituita nel resoconto stilato all’indomani del ritrovamento. Le parole con cui è descritta la stanza danno forma a un vero e proprio orrore: un odore nauseante, polvere, insetti, residui di cibo ed escrementi a contornare un corpo ormai divenuto scheletrico, di appena trenta chili. In stato di inedia e con una mente devastata da anni di forzato isolamento, Blanche viene trasferita in un ospedale psichiatrico. Lì si spegnerà, a 64 anni, senza aver conosciuto la pace dopo tanta violenza psicologica e fisica.
La tragedia, raccontata successivamente anche da André Gide, finirà su tutti i quotidiani, rompendo il silenzio e destando scalpore nell’opinione pubblica, ma la magra consolazione di una giustizia per “la sequestrata di Poitiers” verrà meno. Madame Monnier sfuggirà al carcere per problemi cardiaci, morendo prima di poter pagare – quanto sarebbe stato abbastanza, d’altra parte? – per le sue colpe, mentre il fratello, Marcel, avrà una pena di soli 15 mesi, poiché ritenuto informato ma non esecutore materiale del supplizio.
L’indifferenza
Ci sono voluti 25 anni perché arrivasse quella lettera di denuncia. Poche righe senza firma: tanto è bastato per mettere fine a un inferno durato così a lungo. Anni di assoluto vuoto, in cui nessuno ha chiesto alcunché riguardo alla sparizione di una donna certamente in vista nella città. Chi sapeva si è voltato dall’altra parte, climax del dramma in una vicenda già così insostenibile.
Non si sa il nome dell’autore della segnalazione, forse una domestica troppo angosciata dal terribile segreto, forse lo stesso Marcel, preoccupato di dover fare i conti da solo con la gestione di una situazione ingombrante alla morte della madre.
Se i familiari hanno giustificato la segregazione con la malattia mentale di Blanche, cominciata, secondo il fratello, in giovane età, sarebbe da chiedersi chi fosse realmente folle: una madre che ha inflitto alla figlia una sofferenza inenarrabile, o una ragazza che aveva avuto la colpa di innamorarsi perdutamente.
Nessuno, comunque, guardando oltre le tende polverose che rivestivano quell’unica finestra, ha pensato di proferire una singola parola che avrebbe potuto, invece, cambiare il corso di una vita.
Nel 1941, in Francia, è stata varata una legge ispirata alla memoria del caso Monnier. Si tratta della legge sull’omissione di soccorso alle persone in difficoltà, per responsabilizzare ciascun membro della società ad aiutare e a fare, così, la differenza. È un monito che vieta di distogliere lo sguardo davanti al bisogno, ricordando il valore dei piccoli gesti.
“Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie, ma per quelli che osservano senza fare nulla”.
-Albert Einstein-
La storia, seppur raccapricciante, fa riflettere parecchio. Grazie per avermela fatta scoprire.