Al liceo Morgagni di Roma è iniziato 7 anni fa l’esperimento di “scuola senza voti”. L’istituto, dato il successo di una classe-pilota, ha ora deciso di estendere questa modalità ad un’intera sezione.
C’è chi a sentir parlare di scuola senza voti si indigna e scalpita, difendendo la didattica tradizionale. L’assenza di votazione fa paura: com’è possibile che i ragazzi non ricadano nel lassismo? che ne sarà della nostra venerata meritocrazia? chi li preparerà ad affrontare il “mondo reale”?
Il liceo Morgagni di Roma è riuscito, nel corso di 7 anni, ha far ricredere gli scettici. Avviando un sistema rivoluzionario, studiato anche dal dipartimento di Pedagogia sperimentale della Sapienza di Roma, ha eliminato le valutazioni numeriche. Sono già due le classi diplomate con questa modalità, e, dato il successo del progetto, quest’anno si è deciso di allargare l’esperimento ad un’intera sezione.
Ma come funziona?
A differenza del sistema tradizionale le interrogazioni e le verifiche rimangono, ma il giudizio descrittivo sostituisce la tradizionale valutazione numerica. I docenti spronano e correggono gli alunni, ma, invece che imporre un giudizio dall’alto, cercano di spiegare agli studenti cosa c’è da fare per migliorarsi e su quali aspetti lavorare di più. Gli insegnati cercano di valorizzare non solo le debolezze, ma anche i punti di forza dei singoli alunni. Viene promossa la collaborazione tra gli studenti ed il lavoro svolto in classe. L’obbiettivo è instillare la voglia di apprendere, non la paura di essere giudicati.
Per dovere istituzionale, tuttavia, il giudizio numerico di fine quadrimestre rimane. Ma, prima di essere assegnato, gli insegnanti discutono la votazione finale assieme agli alunni. Questa modalità continua a suscitare molte critiche da parte di chi le considera “un eccesso di protezione”, che rischia di non preparare ragazzi e ragazze alla “vita reale”. I risultati, però, contraddicono tali supposizioni: i diplomati delle classi-pilota sono infatti riusciti ad accedere alle Università più prestigiose, senza però accumulare carichi di stress e ansia.
Le testimonianze degli allievi delle classi sperimentali esprimono giudizi molto positivi. C’è chi, come Gianluca Petrassi, oggi 19enne iscritto alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università Bocconi, dichiara di aver ottenuto vantaggi che non sarebbero stati possibili in una scuola tradizionale.
Sono riuscito ad ottenere la certificazione massima di inglese, ad entrare alla Bocconi, ho partecipato al campionato agonistico di rugby. In una sezione normale avrei dovuto rinunciare a qualcosa.
Come dichiarato da un’altra ex-studentessa, Ariana Chiahai, più tempo libero per dedicarsi alle proprie passioni ha fatto sì che gli alunni potessero dare sempre il massimo a scuola, riuscendo a vivere il liceo come
Un’esperienza bella e rilassante, positiva, non stressata dal dovere di fare compiti e interrogazioni.
A scuola senza voti: bolla dorata?
L’assenza di bocciature o di voti non significa rendere ” troppo facile” la vita agli studenti e proteggerli in una bolla dorata. Come ha ribadito anche Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano,
Non dare il voto non significa accettare qualsiasi prestazione. Se uno studente non sa affrontare bene l’interrogazione, l’insegnante lo può far tornare a studiare, per poi interrogarlo di nuovo. Anche senza sentenziare il voto con un numero, quando è necessario, si possono dire cose severe. Che, però, devono valere come spiegazione per capire come è necessario lavorare.
La ricerca, infatti, condotta dalla Sapienza di Roma, conferma la correlazione tra il benessere scolastico e il successo negli apprendimenti. Ovviamente, anche in una scuola senza voti gli studenti si possono stressare, ma la competizione con i compagni viene estremamente ridotta e non si decreta il fallimento di qualcuno sulla base di un numero arbitrario.
Senza concentrarsi sul voto come unico obbiettivo, gli studenti possono focalizzarsi sull’apprendimento, sulla collaborazione, sulle passioni e gli interessi. Al contempo, questa modalità richiede un lavoro ancora più complesso e articolato da parte degli insegnanti. Senza lo strumento di controllo quale è il voto, è necessario sviluppare un cambiamento nella didattica, affinché si stimolino l’attenzione e le capacità di apprendimento degli alunni, considerando ciascuno nella propria unicità.
Sicuramente questa modalità richiede degli sforzi superiori a quelli attuali, ma la scuola è forse il luogo più importante nella fase della vita di una persona. È lì che si plasma il futuro delle nuove generazioni ed è giusto che sia complessa e articolata.
L’inadeguatezza delle valutazioni
L’idea di una scuola senza voti non è comunque nuova e in Italia sono diverse le realtà, soprattutto scuole primarie, che nel corso degli anni hanno avviato classi sperimentali, eliminando i voti. Tra queste ricordiamo gli istituti primari come la scuola Aldo Moro e la scuola Cesare Battisti di Terni, che per l’anno scolastico 2019/2020 hanno dato avvio al progetto “non sono un numero, ma valgo lo stesso”.
Il progetto mira a stimolare, in questo caso, i bambini, a dare il meglio di sé, invece di inseguire il bel voto a tutti i costi, facilitando lo sviluppo dei talenti, invece che appiattirli su una media.
Questo perché, come spiega il manifesto del progetto:
- il voto è uno strumento non un obbiettivo
- un mezzo non un fine
- penalizza i più deboli-induce insana competizione
- è una stima che inibisce l’autostima
- il voto non vede tra le pieghe degli errori
- a volte è soggettivo
Tutte queste sperimentazioni nascono dalle riflessioni e dal lavoro di grandi pedagogisti e insegnanti, che, in passato, si sono battuti per una didattica alternativa.
Sullo spinoso tema della valutazione degli alunni, così scriveva Mario Lodi già nel 1974, sulla rivista Cooperazione Educativa:
La pagella, così com’è oggi, è uno strumento di valutazione impreciso e soggettivo. Il numero che dovrebbe essere scritto nelle caselle corrispondenti alle “materie” o a gruppi di attività, è il risultato di una strana miscela di sensazioni riguardo alle attività del bambino, che il maestro compie sulla base di un modello di sufficienza che varia da insegnante a insegnante. Non sono rari i casi di “temi” giudicati in modo diverso, a volte opposto, da maestri e professori.
E continuava:
La prima scoperta che l’educatore fa nella scuola quando instaura un rapporto non autoritario con gli alunni è che essi, pur avendo raggiunto una piattaforma comune nel processo evolutivo, sono tutti diversi. L’educatore che ricerca e utilizza le diverse attitudini e capacità personali nel contesto sociale della classe, realizza attività collettive nelle quali ogni bambino, stimolato dagli altri, dà il meglio di sé: chi la fantasia, chi il disegno, chi il senso musicale o dell’umorismo, chi il ragionamento, ecc. Viene così innalzato il livello collettivo della ‘produzione scolastica’ realizzata sulla base degli interessi dei bambini e non dell’imposizione del maestro.
Queste importanti riflessioni sono applicabili sia all’insegnamento nelle scuole primarie, sia, come dimostrato dall’esperimento di Roma, in quelle secondarie. La loro diffusione permetterebbe un rivoluzionario cambiamento nella didattica italiana, e un accrescimento del benessere degli studenti e, di riflesso, delle loro famiglie.
Guardare oltre al voto permette di valorizzare l’impegno degli studenti e non inchiodare nel fallimento coloro che non raggiungono il 6. Come scriveva Andrea Schiavon nel suo libro su Don Milani:
Il vostro compito è quello di farci crescere, non inchiodarci.
Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti (2017)
Eva Moriconi