La decisione dell’Organizzazione mondiale del commercio dà ragione a Trump e si va a inserire all’interno dei già difficili rapporti tra la sua amministrazione e l’Unione Europea. Effetti previsti anche sull’economia italiana.
Dopo qualche giorno d’attesa è arrivata la drammatica pronuncia: il WTO ha stabilito che gli usa potranno imporre dazi all’UE per un valore di 7,5 miliardi di dollari (6,8 miliardi di euro) come “conseguenza” per gli aiuti illegali concessi al consorzio aerospaziale Airbus. In particolare l’amministrazione Trump,, aveva chiesto un risarcimento ancora maggiore. Sarebbe superfluo far notare che una mossa del genere renderebbe ancora più tese le relazioni commerciali tra gli USA e l’Unione Europea, la quale, dal canto suo, probabilmente risponderà in egual misura.
All’interno di questa spietata rappresaglia commerciale, purtroppo, ci andrà di mezzo anche l’Italia. Un’analisi Coldiretti ha evidenziato le ripercussioni che i dazi potrebbero avere nei confronti del commercio italiano. Il made in Italy, dalla moda al settore agroalimentare, ne uscirebbe molto indebolito, poiché quello americano è da sempre uno dei mercati più ben disposti nei confronti dei nostri prodotti.
A questo proposito sorgono alcune domande relative alla visita del Segretario di Stato americano, Michael Pompeo, in Italia. L’Italia potrebbe venire esclusa dalla lista nera del Dipartimento del Commercio? Dove sono finiti i buoni uffici di Conte nei confronti di Trump? Quali sono le sue vere intenzioni?
L’art. 21 del GATT e i primi dazi su acciaio e alluminio
I dazi di Donald Trump, innanzitutto, sono una manovra politica già presente all’interno del suo programma elettorale, in vista delle elezioni del 2016. Per porre un freno all’importazione senza controllo di merci dall’estero il Tycoon ha annunciato una serie di misure volte a proteggere il mercato americano dalla concorrenza internazionale.
A supporto della sua tesi, il Presidente degli Stati Uniti ha fornito alcuni dati riguardanti il calo dell’occupazione in settori strategici come quello dell’acciaio e dell’alluminio. Per imporre i primi dazi, l’amministrazione statunitense ha fatto riferimento ad una norma contenuta nel Trade Expansion Act che consente di attivare l’articolo 21 del Gatt consistente nell’imposizione unilaterale di dazi doganali senza chiedere l’autorizzazione al WTO, in nome della sicurezza nazionale.
Nel giugno del 2018 sono scattati i primi dazi di Trump nei confronti di acciaio e alluminio. L’impatto per l’Europa è stato molto modesto. Il mercato continentale vale nel complesso 720 miliardi di euro, di cui solamente 6,5 miliardi facenti capo all’acciaio. Il Paese più colpito da questi primi provvedimenti è stato sicuramente la Germania che vende acciaio e alluminio agli USA per 1,4 miliardi di dollari l’anno, cioè lo 0,1% delle esportazioni di Berlino verso gli Stati Uniti. Un danno esiguo che comunque ha irritato molto i vertici europei, i quali hanno risposto con una lista dei papabili prodotti da contro-daziare.
Donald Trump ha dato avvio ad una vera e propria guerra commerciale che, però, fino ad ora aveva coinvolto solamente Washington e Pechino. Infatti, oltre ai dazi, il Tycoon aveva imposto delle sanzioni specifiche su 1.300 prodotti cinesi, per un valore di quasi 50 miliardi di dollari. Il dragone ha risposto con ritorsioni di eguale entità.
Un altro settore nel mirino degli Stati Uniti sembrerebbe essere quello delle automobili. Di mezzo ci andrebbero l’italiana FCA, che “tappa i buchi” del deludente mercato europeo con gli utili americani, ma anche la Germania, che esporta automobili per un valore di 28 miliardi di euro, e il Regno Unito. In questo caso però, imporre dazi sarebbe molto più complesso dato che il mercato automobilistico è in assoluto il più “globalizzato”. Solo nel 2017 sono state prodotte, entro i confini a stelle e strisce, circa 800mila vetture tedesche.
Comunque sia, i primi dazi hanno avuto l’effetto di preannunciare una guerra commerciale che, a quanto sembra, potrà solamente peggiorare. Nel giro di un anno si è passati dai prodotti siderurgici a quelli alimentari. Un vero e proprio colpo di mano, i cui effetti saranno ancor più visibili se l’Europa reagirà, nei confronti della globalizzazione e dell’integrato sistema di mercato che da almeno un cinquantennio garantisce la circolazione pacifica delle merci, dei costumi e soprattutto dei valori.
La contesa Airbus-Boeing come casus belli dei dazi
La vicenda scatenante l’ira di Trump è quella legata al presunto “finanziamento” pubblico illecito di Bruxelles, e quindi contro le regole del libero mercato, nei confronti del consorzio aerospaziale Airbus. La duratura contesa tra il colosso europeo e quello statunitense, la Boeing, però, ha durata ultra decennale.
In particolare la genesi dello scontro risale al 2004, subito dopo che il consorzio europeo si impose come primo produttore per consegne di velivoli in tutto il mondo, superando proprio il rivale nordamericano. Gli USA, per giustificare la disfatta, puntarono il dito contro i finanziamenti e i sussidi che l’Airbus ha ricevuto fin dagli anni ’70. Nello specifico Trump ha indicato 22 miliardi di dollari di flussi illegali. Bruxelles ha risposto giocando la stessa carta: Washington ha finanziato illecitamente la propria azienda per una cifra di poco superiore, 23 miliardi.
In questo fanciullesco battibeccare si colloca la pronuncia dell’Organizzazione mondiale del commercio che ha quantificato le tariffe che gli USA possono legittimamente imporre verso l’Unione Europea: 7,5 miliardi di dollari. Trump ne chiedeva undici, ma si è dovuto accontentare.
Ciò che non si riesce a spiegare, però, è il motivo per cui il Tycoon abbia deciso di puntare il dito anche contro il mercato italiano. Del consorzio Airbus ne fanno parte solamente Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Cosa c’entra l’Italia?
Uno “schiaffo” all’economia europea e italiana
I dazi di Trump non solamente uno schiaffo all’economia europea, bensì anche a quella di un suo storico alleato. La Casa Bianca avrebbe potuto evitare benissimo di inserire i prodotti italiani nella lista del Dipartimento del Commercio.
A questo proposito una delle ragioni la si potrebbe cercare all’interno dell’obiettivo, più o meno dichiarato, di Donald Trump di riequilibrare la bilancia commerciale con l’Unione Europea. Germania e Italia, in particolare, sono i due partner europei verso cui ogni anno gli Stati Uniti maturano un passivo più elevato. Quindi, alla fine della fiera, l’Italia sarebbe colpita dai dazi per il semplice motivo di “esportare troppo”. Ciò, per la nostra economia, sarebbe un guaio: le esportazioni italiane, a differenza di quelle tedesche, sono troppo “USA-dipendenti” poiché incidono per la metà del surplus totale della nostra bilancia commerciale.
Un’altra motivazione, degradata al rango di “mera ipotesi”, sarebbe invece squisitamente politica.. Il sentimento di frustrazione italiano per l’ingiusta colpa da pagare è palese. Lo si è notato anche durante l’incontro tra Giuseppe Conte e il Segretario Pompeo e lo si è potuto estrapolare anche dai ripetuti richiami alla responsabilità da parte di Sergio Mattarella.
L’atteggiamento di Donald Trump nei confronti del mercato italiano potrebbe riassumersi in una semplice quanto verosimile frase: “L’Italia paga in quanto membro dell’Unione Europea”.
Una tale mossa avrebbe delle motivazioni politiche reali e forti. L’Italia ultimamente si è mostrata una delle nazioni europee più euroscettiche, tanto che per 14 mesi ha avuto al governo due forze inquadrate in questa sfera (fino ad un anno fa si parlava addirittura di Italexit). Lo scontro tra grillini, leghisti e l’Europa ha visibilmente “allietato” il Tycoon, da sempre acerrimo e “velato” nemico dell’asse franco-tedesco. L’imposizione dei dazi anche alla nostra economia potrebbe, di conseguenza, rispondere al riavvicinamento del governo PD-M5S a Germania e Francia.
I prodotti colpiti e le conseguenze sull’economia italiana
Non c’è bisogno di aggiungere, o di ripetere, che i dazi di Trump sono rischiosi per il Made in Italy e mettono a repentaglio la già difficile situazione economica nostrana, stagnante e sull’orlo della recessione. L’Italia vive di export e non può fare affidamento sulla domanda interna per i suoi prodotti.
Il settore agroalimentare risulterebbe il più colpito dai dazi, seguito da moda, cosmetici e componenti edili/industriali. In particolare, secondo quanto emerge dalla lista pubblicata sul sito del Rappresentante al Commercio USA, i prodotti italiani colpiti sarebbero il pecorino romano, il parmigiano reggiano, il provolone e il prosciutto. Esclusi, per ora, l’olio d’oliva e il prosecco. Le tariffe dovrebbero scattare dal 18 ottobre e saranno del 10% sugli aerei commerciali e del 25% sugli altri beni, industriali e agricoli. Secondo Coldiretti, il danno italiano ammonterebbe circa ad un miliardo di euro.
La reazione della politica italiana non si è fatta attendere. Sia Giuseppe Conte che Luigi Di Maio hanno dichiarato che il problema dei dazi è molto serio e che le eccellenze italiane devono essere tutelate. Nello specifico il Premier Conte spera che i suoi buoni uffici presso la Casa Bianca possano convincere Donald Trump a cambiare idea.
La soluzione diplomatica, in questo caso, è quanto mai necessaria.
Donatello D’Andrea