La rotta balcanica è un segreto. Un segreto di Pulcinella, che tutti conoscono, ma di cui nessuno vuole parlare. Perlomeno a livello politico globale. L’opinione pubblica, alcuni media, le ONG che si stanno dando da fare in merito e sparuti esponenti politici, ha però riacceso i riflettori su quello che sta accadendo – ormai da anni – appena al di là del confine della civilissima Unione Europea. Che, nel frattempo, resta ostaggio di Erdogan.
Ufficialmente la rotta balcanica è chiusa dal 2016, anno in cui l’UE siglò un controverso accordo con la Turchia di Erdogan per evitare che i migranti transitassero dalla Turchia alla Grecia. Così, dal milione di persone transitate nel 2015 si è scesi a decine di migliaia negli anni successivi. Ma ignorare un problema non può essere visto come una soluzione accettabile. D’altra parte, da anni ormai l’Unione Europea considera le migrazioni come una inevitabile conseguenza del sistema economico globale, senza alcun conto del rispetto dovuto verso ogni essere umano. E senza alcuna considerazione delle proprie radici storiche culturali, di quel valore dell’accoglienza che dovrebbe essere una delle basi fondanti dell’idea di Europa unita.
Il controverso accordo tra l’UE e Erdogan
Sei miliardi di euro. Questa la cifra versata dall’UE a Erdogan per sorvegliare la frontiera turco-greca e impedire il passaggio di migranti diretti ai paesi europei. Un accordo decisamente discutibile. In primis perché non vi è alcuna garanzia del rispetto dei diritti umanitari da parte della Turchia. E in secondo luogo, perché quegli stessi soldi avrebbero potuto essere investiti diversamente, per finanziare politiche di accoglienza e strutture adatte in territorio europeo. Esternalizzare la gestione dei confini non solo è equivalso a voltare la testa di fronte a una situazione che non si poteva ignorare, ma ha significato anche mettersi nelle mani di Erdogan. Il quale infatti non perde occasione per ricattare i governi europei.
La rotta balcanica è un abisso
Un abisso in cui sparisce la dignità umana, in cui viene inghiottito il diritto all’accoglienza. Un abisso in cui spariscono centinaia di persone, senza che nessuno sappia nulla di loro o possa agire in loro soccorso. Notti all’addiaccio, nascosti nei boschi, in mezzo alla neve, ai lupi. I ricatti dei trafficanti. Un cammino lungo mesi, a volte anni. Che spesso si interrompe contro un muro di indifferenza e viene stoppato dalle violenze e dalle torture delle forze dell’ordine schierate in “difesa” dei confini.
Nonostante il blocco imposto dalla Turchia, migliaia di migranti ogni anno riescono a percorrere la strada fino in Bosnia. Alcuni di loro sono in cammino da anni. Anni di sofferenze, privazioni, fughe, dignità umana calpestata. Davanti a loro il miraggio di una speranza. Un ricongiungimento famigliare. Un’occasione per riuscire finalmente ad avere la possibilità di una vita in condizioni dignitose.
Il Limbo bosniaco
La loro strada, il più delle volte, si ferma in Bosnia. Vicino a Bihać, ad esempio, dove almeno mille migranti – provenienti soprattutto da Bangladesh, Pakistan e Afghanistan – vivono nel campo profughi di Lipa ai bordi del paese. Il campo è stato devastato poco prima di Natale da un incendio e da allora le loro condizioni sono ulteriormente peggiorate: alcuni si sono accampati in quel che ne restava, altri nei boschi circostanti. Sono sorte tendopoli, mentre la temperatura scendeva anche a -20°. A Lipa si sono recati recentemente anche alcuni esponenti del PD, chiedendo alle autorità locali ed europee di intervenire. Un viaggio che ha acceso nuovamente i riflettori sulla situazione dei migranti lungo la rotta balcanica. Una situazione che però, purtroppo, non sembra possa avere una soluzione in tempi brevi.
La rotta balcanica e le contraddizioni dell’UE
La Bosnia non ha le possibilità economiche e politiche per risolvere da sola la situazione. La Grecia, paese di transito della maggior parte dei migranti, negli ultimi tempi ha sospeso più volte l’accettazione delle richieste d’asilo avanzate dai nuovi arrivati, tagliato i fondi per l’accoglienza, osteggiato il lavoro delle ONG e respinto illegalmente migliaia di migranti verso la Turchia. Spingendo, di fatto, tutti quelli che hanno potuto a cercare miglior fortuna lungo la rotta balcanica. L’Unione Europea ha un approccio a dir poco contraddittorio, nel frattempo. Finanzia la Bosnia per l’accoglienza dei migranti e la manutenzione dei campi profughi. Ma fa finta di niente di fronte ai respingimenti illegali – anche di minori – da parte della polizia croata.
Così la polizia croata fa il lavoro sporco. E violento. D’altra parte, sia Serbia che Croazia – e in qualche misura tutti i paesi dell’est – da anni soffiano sulla propaganda anti migranti e xenofoba, con l’appoggio delle organizzazioni di estrema destra e, in alcuni casi, anche delle Chiese locali. Perché bisogna difendere l’identità nazionale – riconquistata dopo decenni sotto il dominio sovietico – dalla “invasione straniera e musulmana”. Parole d’ordine che, purtroppo, conosciamo anche in Italia e sulle quali l’Unione Europea glissa.
Ufficialmente gli esperti dell’UE, dopo la visita a Lipa, hanno fatto pressioni affinché le autorità locali risolvessero la situazione in tempi rapidi. Si è tentato di trasferire i migranti altrove – ad esempio nel campo di Bira, poco distante, ristrutturato con 3,5 milioni versati dall’Europa. Ma le tensioni fra le comunità locali hanno impedito questo e altri tentativi di sistemare più dignitosamente i migranti. E il campo di Bira resta ancora deserto.
Dalla speranza all’attesa infinita
«Sono in prevalenza ragazzi afghani, siriani, iracheni. Provengono da Paesi che i governi europei hanno contribuito a radere al suolo e su cui oggi non siamo capaci di assumerci una responsabilità» ha dichiarato Pietro Bartolo, il medico e ex consigliere comunale di Lampedusa, che il dramma dei migranti lo ha visto e affrontato in prima persona. Eletto europarlamentare nel 2019, insieme ad alcuni suoi colleghi ha firmato un appello per sensibilizzare i governi e l’Unione Europea affinché si trovi una soluzione. Questa specie di limbo in cui si affollano migliaia di persone è una realtà disumana che non si può ignorare. Sono uomini e donne con un volto, vite, sofferenze, speranze. Diritti. Persone che, in un modo o nell’altro, arrivano alle porte dell’Europa, vengono – con molte riserve – accolte e sistemate e poi… lasciate lì ad attendere, in condizioni quasi disumane, all’infinito. I pochi che riescono a varcare il confine dell’Unione, vengono respinti; spesso e volentieri senza neppure accertare se abbiano o meno i diritti legali (quelli umani non sarebbero nemmeno in discussione, ma non vengono considerati) per fare richiesta di asilo.
Anche l’Italia è parte in causa
L’Italia, in questa gestione contraddittoria dei flussi migratori che culmina con la pratica dei respingimenti illegali, fa purtroppo la sua parte. Alcuni dei migranti che vivono nel limbo bosniaco o in qualche altro territorio ai confini dell’UE non arrivano direttamente dalla rotta balcanica, ma sono stati rispediti lì. Come sottolinea un rapporto della fondazione Migrantes, l’Italia fa largo uso delle “riammissioni senza formalità”
«lo strumento con cui l’Italia prima ed a catena tutti gli altri Paesi europei sulla rotta balcanica respingono i richiedenti asilo in deroga alle convenzioni internazionali ed alle stesse leggi europee in materia di diritto d’asilo» – dal rapporto della fondazione Migrantes
In tal modo i migranti che riescono comunque ad attraversare il confine italiano «vengono consegnati alla polizia slovena, poi a quella croata ed infine respinti in Bosnia, abbandonati in tendopoli fatiscenti tra le montagne e sotto la neve».
L’ora dei diritti, della dignità, dell’accoglienza
Turchia, Grecia, Bosnia: sono solo alcuni dei luoghi lungo la rotta balcanica nei quali sprofonda l’idea stessa di Unione Europea. Luoghi come Lipa, in cui le persone vivono accampate e sopravvivono solo grazie alla solidarietà piccola e grande che non si ferma mai. Nonostante la pandemia mondiale e i problemi relativi che rendono molto più difficile l’agire dei volontari e delle ONG. Dopo anni in cui la coscienza europea si era tacitata, spostando oltre i propri confini il problema della gestione dei flussi migratori, ora è venuto il momento di riconsiderare le politiche adottate nel 2016. Non solo perché si sono rivelate inefficaci e perché hanno – di fatto – reso l’UE ostaggio di Erdogan e di realtà locali instabili. Ma anche perché è giunto il momento che l’Europa smetta di negare la sua storia di democrazia e civiltà giuridica e faccia la sua parte. Da troppo tempo vi ha rinunciato, erigendo muri, aumentando i rimpatri, alimentando indirettamente il business degli scafisti. I fondi investiti in questi anni senza che si arrivasse a soluzioni rispettose della dignità umana, possono essere di certo impiegati meglio, alla ricerca di soluzioni durature e degne.
L’augurio è che le attenzioni che ultimamente sono tornate ad accendersi sulle vicende dei migranti lungo la linea balcanica, portino finalmente ad una svolta. Che la situazione mondiale, in cui tutti noi abbiamo sperimentato limitazioni e disagi, spinga le persone e – soprattutto – le autorità a far sì che l’Unione Europea mantenga fede alla propria vocazione democratica: diritti, dignità e accoglienza devono tornare ad essere capisaldi del nostro continente.
Simone Sciutteri