È finita la pacchia: a partire dal 2024 verrà eliminata la clausola di salvaguardia, inserita per fronteggiare l’emergenza pandemica e tornerà il patto di stabilità. La bozza della Commissione Europea presentata da Gentiloni e dal vicepresidente esecutivo Dombrovskis promette più flessibilità e maggiore trasparenza per “una crescita sostenibile ed inclusiva”, ma la sostanza rimane quella.
Riforma del patto di stabilità: cosa cambia
Per avere un’adeguata comprensione di questa riforma bisogna partire da quello che rimarrà invariato, ovvero i pilastri del mantenimento del debito al di sotto del 60% del PIL e del deficit al di sotto 3%. Ciò che cambierà saranno invece i percorsi di aggiustamento del debito. Il rientro del debito nei limiti stabiliti potrà essere realizzato in tempi meno serrati. Inoltre la riforma promette e una maggiore flessibilità in base alla situazione specifica dei singoli paesi membri.
Il commissario europeo per gli affari economici e monetari Paolo Gentiloni ha affermato che “l’Italia dovrà ridurre il proprio debito, ma in maniera più graduale e in un modo deciso dall’Italia “. Inoltre, ha aggiunto che le riforme del nuovo patto di stabilità “dovrebbero favorire la crescita, sostenere la sostenibilità di bilancio e affronteranno le priorità comuni dell’UE come il Green Deal, il pilastro europeo dei diritti sociali o il decennio digitale”.
Questi obbiettivi risultano piuttosto vaghi e sicuramente non sembrano indicare una reale inversione di rotta in ottica keynesiana per quanto riguarda la generale linea di austerità del precedente patto di stabilità. Appaiono dunque piuttosto mistificatrici le parole di Gentiloni che sostiene che grazie a questa riforma potremmo evitare “il tipico pregiudizio pro-ciclico che la politica fiscale ha avuto negli ultimi anni”. Altrettanto vuote appaiono le promesse di una maggiore trasparenza nella politica di bilancio. Dietro questa dicitura sembra piuttosto celarsi un inasprimento della sorveglianza e delle sanzioni europee per i paesi inadempienti, oppure che non investono in linea alle “priorità comuni dell’UE” evocate dallo stesso Gentiloni.
Insomma, tutta la riforma appare come una risposta quantomai parziale alle sfide poste dalla crisi determinata da pandemia, guerra e speculazione sui prezzi delle materie prime che investe l’Europa intera (ma soprattutto i paesi più indebitati come l’Italia).
La Germania e la retorica delle “cicale”
Nonostante il carattere parziale della riforma, non sono mancate le critiche di chi la ritiene pericolosa per la stabilità. Il ministro delle Finanze della Germania ha ritenuto le proposte avanzate da Bruxelles “inadeguate”, perché non garantirebbero una appropriata riduzione dei livelli di debito pubblico.
La contro-proposta inviata dalla Germania contiene l’obbligo di ridurre il rapporto debito-PIL di almeno un intero punto percentuale l’anno sui paesi più indebitati e di almeno mezzo punto percentuale l’anno per gli stati meno indebitati. Si tratta di requisiti che obbligherebbero l’Italia a ridurre il debito di circa oltre 19 miliardi di euro l’anno. Questo tipo di riduzione imporrebbe tagli che rappresenterebbero la completa impossibilità di ripresa interna del paese
La contro-proposta della Germania che porta avanti la retorica dei “paesi cicala”, condannati a scontare il peccato originale del debito pubblico in eterno, è stata accolta con favore dall’Olanda. Tuttavia, sembra che non dovrebbe essere riconosciuta dalla Commissione Europea.
Riforma del patto di stabilità: possibilità o condanna?
Non bisogna, tuttavia illudersi che la Commissione Europea sia pronta a riconoscere le atrocità delle politiche di austerità imposte all’indomani della crisi del 2008/2009 a paesi già sull’orlo del baratro come la Grecia. Tanto meno, si può pensare che questa riforma possa favorire il raggiungimento di una democrazia sostanziale in Europa, in grado di offrire una maggiore garanzia dei diritti sociali nei paesi membri.
Anzi, a giudicare dal DEF presentato dal governo Meloni, sembra che i finanziamenti per gli investimenti in linea con le priorità dell’Unione Europea deriveranno da ulteriori tagli del reddito di cittadinanza e da tagli reali sul personale e sulla sanità. Risulta quindi spontanea la domanda: chi favorisce esattamente questa riforma del patto di stabilità?
La risposta è presto detta: la classe media e medio-alta di imprenditori che vedranno cospicue entrate sotto forma di bonus devoluti nell’ottica dei fumosi obbiettivi della “transizione verde”, della “digitalizzazione” e di questa fantomatica “resilienza”.
Insomma, ad un’analisi disattenta potrebbe apparire solo positivo il segnale di un passo indietro sulle politiche di austerità pre-pandemia. Tuttavia, sembra che a beneficiarne non saranno tanto le classi meno abbienti, quanto più che altro la ricca classe di imprenditori.
Senza considerare che l’ammorbidimento in ottica riformistica delle politiche economiche di austerità potrebbe addirittura risultare dannoso. Infatti, l’adozione di riforme parziali non fa altro che ritardare l’esplosione delle contraddizioni e il conseguente superamento del modello di governance neoliberale che è strutturalmente caratterizzato da un aumento della diseguaglianza e che, fra l’altro, ha mostrato più volte l’incapacità di fronteggiare le crisi sistemiche che caratterizzano la nostra epoca.