La resistenza culturale in Palestina sovverte il sistema di dominazione coloniale sionista e abbatte il muro dell’apartheid che schiaccia il desiderio di libertà e giustizia del popolo palestinese. Il linguaggio sovversivo della poesia e delle rappresentazioni artistiche crea una realtà ideale di pace e giustizia. Le idee dei poeti e degli artisti, simboli della resistenza culturale in Palestina, sono eterne e continuano a vivere anche dopo la loro morte.
Resistere all’oppressione del potere dominante usando l’arma non violenta della cultura significa immaginare una realtà diversa da quella contingente e imposta e creare le condizioni ideali perché la violenza, le discriminazioni e l’odio vengano spogliati del loro potere.
Il potere sovversivo della cultura
Nell’universo rivoluzionario dominato dalla cultura, l’autorità imposta viene sovvertita e asservita alla speranza immaginativa che vede possibilità di cambiamento e di liberazione laddove domina la rassegnazione ad una realtà abietta in cui i più forti dettano legge e gli ultimi sono costretti a prostrarsi.
La resistenza culturale in Palestina sovverte la realtà del sistema di dominazione coloniale sionista impersonata dallo Stato d’Israele, fortificazione legalizzata di retaggi coloniali e razzisti ancora esistenti. Laddove la quotidianità dei palestinesi è ferita da discriminazioni e odio razziale, la cultura insegna a sperare e sognare in direzione ostinata e contraria.
La resistenza culturale in Palestina mira ad abbattere il turpe muro dell’apartheid che opprime il desiderio di libertà e autodeterminazione del popolo palestinese.
Gli intellettuali e gli artisti sono veicoli di un messaggio di liberazione
Come è stato sottolineato dallo scrittore palestinese Edward W. Said, nel contesto della resistenza culturale in Palestina, intellettuali e artisti rappresentano la liberazione e l’illuminazione, sono veicolo di un messaggio personale ed incarnano un’energia inesauribile.
La cultura ha il potere di incidere sul processo storico, riscrivendo la narrazione su basi differenti da quelle ufficiali, quindi se la storia dei palestinesi è stata oscurata dal sistema coloniale sionista, la resistenza culturale in Palestina deve opporsi a questa visione dominante e riscattare l’identità offesa e negata dei palestinesi.
Secondo Edward W. Said “la cultura è una forma di memoria contro l’oblio”. Anche quando scrittori e artisti chiuderanno gli occhi per sempre, i loro libri e rappresentazioni artistiche continueranno a fare luce sul dramma storico ed umano dei palestinesi, testimoniando la sofferenza di un popolo sradicato e mantenendo sempre viva la resistenza culturale in Palestina.
Handala, emblema della resistenza culturale in Palestina
Il vignettista palestinese Naji Al-Ali diede all’identità storica e culturale palestinese le sembianze di un bambino di nome Handala.
Handala è rappresentato di spalle e con le mani dietro la schiena, con abiti logori e i piedi nudi, simbolo della povertà che segna l’infanzia ferita di tutti i bambini palestinesi vittime della Nakba del 1948, sradicati dal luogo dove erano nati, sfollati dalle loro case e costretti all’esilio forzato.
Handala incarna l’innocenza rubata ai figli di una terra offesa e negata, il rifiuto dell’esperienza traumatica dell’esilio e il desiderio di poter finalmente dire “io sono palestinese”, finché questa libertà gli verrà negata, continuerà a non guardare in faccia quel mondo che lo rifiuta.
Questo rigetto della realtà oppressiva e discriminatoria, frutto dell’ideologia coloniale sionista, esprime il senso più profondo della resistenza culturale in Palestina.
“Una terra senza popolo per un popolo senza terra”
Il progetto sionista si regge su un racconto alternativo fondato sul mito di “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, sotto questa luce, l’impresa coloniale verrà presentata non come assoggettamento e occupazione delle terre abitate dai nativi arabi-palestinesi, ma come una missione di civilizzazione di popoli selvaggi senza una storia e un’identità culturale. Popoli inferiori e sacrificabili in nome di un’ideologia nazionalista che prospetta il ritorno del popolo ebraico in una terra promessa e disabitata.
Peccato che il popolo palestinese esistesse e avesse una propria storia e identità culturale, una realtà che contrastava con ciò che i sionisti si erano raccontati prima ancora di giungere in Palestina tanto da rendere necessaria la brutale operazione di cancellazione del passato dei nativi e l’imposizione di una storia alternativa che seppellisse la memoria dei palestinesi.
Il compito della resistenza culturale in Palestina è quello di far riemergere dall’oblio di un processo di rimozione le radici storiche e culturali palestinesi.
“Chi impone il proprio racconto, eredita la terra del racconto”
La resistenza culturale in Palestina difende la narrazione degli autoctoni dall’oppressione della contro-narrazione dei colonizzatori sionisti, capovolgendo così i rapporti di potere tra colonizzatori e colonizzati.
Mahmoud Darwish affermava che “chi impone il proprio racconto, eredita la terra del racconto”, legando così strettamente le lotte di rivendicazione dei diritti e della libertà dei palestinesi sulla propria terra alla difesa della storia nativa dall’opera sionista di rimozione.
Mahmoud Darwish, poeta simbolo della resistenza culturale in Palestina, sapendo di non poter identificarsi in Omero, autore della storia dei greci vincitori, si riconosceva come poeta degli sconfitti, degli ultimi e degli oppressi. E non poteva essere diversamente, visto che fin dall’infanzia, come tutti i palestinesi, visse sulla propria pelle la tragedia alienante di sentirsi straniero in patria. Il destino individuale di Darwish incontra il destino collettivo di un intero popolo, a cui umilmente dà voce incarnando l’anelito di libertà, giustizia e riscatto e la difesa del diritto all’esistenza dei nativi palestinesi.
Resistenza culturale in Palestina nel linguaggio poetico di Mahmoud Darwish
Pur dovendo dimostrare continuamente la propria esistenza, i palestinesi hanno radici talmente profonde da non poter essere recise nemmeno dall’esperienza traumatica dell’esilio forzato e dell’apartheid e dalla vergogna dei check-point e dei muri di separazione. La resistenza culturale in Palestina, come emerge dai versi di Darwish, afferma il diritto di esistere dell’identità nativa al di là del riconoscimento ufficiale da parte di uno Stato. “La palestinesità” non necessita di un documento d’identità o di un passaporto che la legittimi, ma “è una realtà trasportata sulle spalle, nei gesti, nella lingua, nella coscienza dei palestinesi stessi”
L’identità culturale palestinese, a differenza di quella artificiosa costruita dai sionisti, è post-nazionale e meticcia, non si nutre dell’ideologia di una razza pura, ma ingloba molteplici culture.
La poesia di Darwish è un’arma umana e rivoluzionaria che riflette la potenza disarmante della resistenza culturale in Palestina, è la patria ideale in cui questa identità plurale trova rifugio sicuro, la casa immateriale ed eterna che nessun bulldozer o carrarmato potrà mai demolire.
Resistenza culturale in Palestina: Refaat Alareer
Anche Refaat Alareer come Mahmoud Darwish, credeva fermamente nella forza e nella potenza del linguaggio di immaginare scenari differenti da quelli contingenti, i versi poetici e gli scritti possono restituire dignità e fiducia ai palestinesi feriti dal peso lacerante del progetto sionista di occupazione e repressione.
Fino all’ultimo, il professore Alareer denunciò non solo la brutalità dei bombardamenti israeliani ma anche la violenza dell’equidistanza liberale dell’Occidente, su cui pesa la responsabilità del genocidio dei palestinesi di Gaza.
Refaaf Alareer era però convinto che la resistenza culturale in Palestina non potesse comunque sostituire la resistenza armata contro il potere coloniale sionista, due giorni prima di essere ucciso scrisse:
“Vorrei essere un combattente per la libertà, così potrei morire combattendo contro quegli invasori maniaci genocidi israeliani che invadono il mio quartiere e la mia città”.
“Se devo morire”
Refaaf Alareer, scrittore contemporaneo e simbolo della resistenza culturale in Palestina, rimase vittima di un bombardamento israeliano nel mese di dicembre 2023 a Gaza. Yousef M. Al Jamal, un suo studente, per ricordarlo scrisse “Refaat è immortale: è un’idea e le idee non muoiono”. Refaat è una parola e una storia, Refaat è una penna e un gioco di parole”.
Chiunque creda nel potere della parola di cambiare il mondo, può immaginare una realtà dove tutti gli esseri umani abbiano pari diritti e dignità e battersi affinché questo ideale si concretizzi, la parola consegnata ad un testo scritto vive in eterno e conserva per sempre il suo valore sovversivo.
Mahmoud Darwish e Refaat Alareer sono morti ma le loro idee vivono attraverso le loro testimonianze, cosicché altri possano continuare a raccontare la storia del popolo palestinese.
In un verso della poesia “Se devo morire”, Refaat Alareer scrisse:
“Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia”