La realtà è semplice! Purtroppo
Signori la realtà è semplice, anzi … elementare. Nel suo semplice accadere la realtà è così com’è, né più e né meno. Ciò che ce la fa apparire complicata sta nell’interpretazione che ne diamo, o meglio, il modo in cui crediamo di farla nostra. I complicati siamo noi, non il mondo, compresi tutti i suoi paradossali, grotteschi, tragici e, ancora incomprensibili, risvolti.
In fondo il precetto che ha permeato l’occidente più di ogni altro, e più di quanto noi stessi possiamo averne consapevolezza, è quello di Parmenide: “tutto ciò che è, è e non può non essere, mentre tutto ciò che non è, non è e non può essere.” Da quel momento la logica ha avuto una prima definizione e tutto il nostro pensiero ha acquisito un principio tanto evidente quanto lapidario. Inutile contraddirlo, in talleri si arriverà sempre lì. Ci provò lo stesso Socrate con Parmenide e gli andò miseramente male.
Al fin della fiera i fatti parlano sempre, le evidenze ci inchiodano, solo l’immaginazione inventa e crea; ma quest’ultima, perlopiù, grazie allo spazio e al tempo, ci porta spesso ad illuderci.
La maggior parte di noi non crea né fa arte, né ha una mente aperta ad una sana visionarietà; coloro che “davvero creano” – pur utilizzando sempre e comunque come strumento “ tutto ciò che è e non può non essere” – sono davvero pochi, ma la maggior parte di noi utilizza questo straordinario mezzo proiettando le proprie fantasie in un altro tempo (il futuro che per definizione è il “non ancora”) e in un altro luogo (lo spazio che questo futuro crea) generando così illusioni, ripari inesistenti, nel peggiore dei casi alienazioni. Nel frattempo la realtà resta dov’è, nel suo inesorabile “accadere mentre accade”.
In pratica con un semplice gesto di ottimistico fatalismo deleghiamo al futuro la nostra parte migliore. Al quando sarà se sarà. Spesso sentiamo dire con sospettosa leggerezza frasi del tipo: “questo non è il tempo”, “non ci sono ancora le condizioni”, oppure “vogliamo un mondo migliore”, “cerchiamo di costruire un mondo migliore”.
Queste le definisco “preposizioni in forma di cambiali cabriolet”, tanto rassicuranti “nel presente”, quanto poco impegnative per il futuro. A voler esser pignoli e coerenti, se ci dicono che non è il tempo e non ci sono le condizioni va’ da sé che è estremamente improbabile costruire un mondo migliore, in quanto mancano i presupposti, cioè proprio le suddette condizioni per crearlo. In pratica non parliamo di niente, intanto però ci passa l’ansia.
Ancora il presente ci inchioda inesorabilmente. Non se ne esce. Siamo prigionieri del qui ed ora, però dalle sbarre vediamo il nostro “personalissimo” fuori fatto di “sarà”.
Sembra un discorso puramente teoretico o astratto, ma in realtà parliamo delle basi dell’insoddisfazione e dell’ infelicità, mica pizze e fichi? Ma si parla anche del delegare, cioè di “rimandare” ad un altrove – in un altro tempo – o a qualcun altro, senza valutare consapevolmente il nostro presente, la nostra libertà di scelta. Non sembra ma di libertà ne abbiamo ancora tanta, talmente tanta da poterne fare scempio. Infatti molti la libertà la valutano in potenza, nel pensare “di poter scegliere”, mentre pochi ne colgono il senso nel suo attuarsi: solo quando si sceglie la libertà prende davvero vita e produce le sue conseguenze. Nel momento in cui penso di poter scegliere, la mia libertà – per quanto dichiarata – non si attua, non produce nulla, neanche sé stessa, ma nel momento in cui scelgo non solo la rendo reale, ma – soprattutto – la consumo. In quell’istante nasce davvero la libertà e, nello stesso momento, muore dando vita a nuove scelte da fare.
In pratica l’esercizio della libertà è continuo. Nasce e muore costantemente davanti alle nostre scelte. Persino non scegliere è una scelta (questo è un classico), perché si è scelto di non scegliere. Poi sarà il corso degli eventi -che nel frattempo comunque accadono – a scegliere per noi: certo, quasi sempre sono ca*zi amari, perché la vita non va’ per il sottile, ma possiamo star certi che accadrà! Chiamare poi tutto questo destino, a meno che non ci cada un fulmine in testa (ma anche lì se ravani scopri di dover comunque storcere il naso), è solo il contentino che ci diamo per riuscire ad archiviare il tutto dando la colpa a ciò che è fuori di noi. Anche questa è una realtà, un’evidenza.
Ma tutto questo cosa c’entra con ciò che viviamo oggi? Con la crisi delle democrazie ad esempio? Con la patetica inadeguatezza di chi ci rappresenta?
Innanzitutto anche qui siamo davanti a una realtà, ad un dato di fatto: siamo governati da pericolosi e insipienti cogl*oni. Non si scappa, è un dato fatto! E’ così da tanto tempo, e – purtroppo – non è altrimenti. Un altro dato di fatto sta che negli anni abbiamo considerato l’esercizio della responsabilità istituzionale, quello delle nostre scelte, un semplice “delegare” ad altri i nostri interessi, pensando che tale gesto significasse accollare a loro anche le nostre responsabilità come cittadini. Non abbiamo difeso i nostri diritti ritenendoli assodati e li abbiamo lentamente dati in pasto a brutta gente insieme ai nostri voti.
Pian pianino le istituzioni hanno pensato bene non solo di scegliere “per noi”, ma anche “nonostante noi”, ma anche questo ci è parso legittimo, normale. In fondo ci affrancava da un impegno. Così col tempo questo “nonostante noi” sta diventando sempre più un “senza noi”, però, alla luce del nostro lassismo, possiamo ben dire che è stato soprattutto “grazie a noi”.
Gli imbecilli non spuntano nella storia per caso, esistono dalla notte dei tempi. Sono inestirpabili! Però in alcuni periodi siamo riusciti a contenerli: le lori idee erano assurde, violente, inconcepibili, e tutto ciò era talmente evidente che gli stessi imbecilli se ne guardavano bene dal divulgarle. Erano imbecilli, mica scemi? Adesso invece non solo sparano caz*ate alla luce del sole, ma ne vanno fieri, hanno proseliti, spuntano profili fake che li osannano. Diventano essi stessi generatori di imbecilli, padri e madri dell’idiozia, dell’odio, della violenza, della più bieca e pericolosa delle mediocrità. Non è che non abbiamo saputo scegliere, non abbiamo più voluto scegliere. Ovvio che adesso si raschia il barile e ci troviamo solo immondizia.
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