La psicologia dietro alle sette

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La setta è, per definizione, un’associazione che si distanzia dalla massa in favore di un credo. Questo credo viene spesso rappresentato da una religione con caratteristiche uniche che viene perpetuata da un funzionario, una sorta di guru che nella maggior parte dei casi ne è anche il fondatore. I fedeli della suddetta religione si trovano ad isolarsi dai loro amici e parenti, effettuare riti che in realtà sono atti di abuso fisico ai loro danni, lavorare e finanziare la setta senza trarne un minimo beneficio economico e fare essenzialmente ogni cosa che il guru comanda loro.

Tutto ciò è palesemente sbagliato per un occhio esterno, ma non altrettanto per chi nelle sette ci entra, ci vive e talvolta ci nasce. Come è possibile che questi adepti non si accorgano della loro condizione, come mai non abbandonano la setta anche quando il guru ordina loro di infrangere la legge o di subire violenze e soprusi?

Il motivo è che, molto semplicemente, non vedono tutto ciò come un male. Le sette ed i guru che le gestiscono operano in maniera molto subdola, sfruttando pratiche di manipolazione psicologica col fine di fare una sorta di lavaggio del cervello ai propri adepti. Spesso questi ultimi sono infatti persone fragili o che stanno attraversando un periodo difficile, quindi sono alla disperata ricerca di una luce. La setta fa credere loro di essere quella luce. Per farlo può sia far leva su idee estremiste che magari la società condanna (come nel caso della Aryan Brotherhood of Texas, basata sull’ideologia antisemita) sia offrendo sostegno e conforto a chi cerca la stabilità tramite la fede (come nel caso di Heaven’s gate o della gigantesca e controversa Scientology).

Per comprendere meglio come ciò accade, analizziamo il recente caso Dioniso, avvenuto in terra nostrana. Innanzitutto si può notare come la struttura della setta sia simile ad una ragnatela al cui centro vi è la figura del guru, noto come “Lui”, attorno cui tutto gira. “Lui” godeva di un massiccio traffico monetario scaturitogli da diverse attività come erboristerie, negozi di artigianato e persino una casa editrice. Anche e soprattutto attraverso queste attività venivano reclutate le potenziali vittime, che venivano convinte ad entrare nella setta tramite dei veri e proprio lavaggi del cervello (Non a caso, all’interno dell’organizzazione vi erano annoverate anche delle psicologhe): alla vittima venivano inizialmente dedicate molte attenzioni, facendola quindi sentire importante e parte di una famiglia che la capiva ed amava. In seguito la setta ed il guru prendevano un ruolo sempre più centrale nella vita della vittima, che vedeva scoraggiate le relazioni esterne all’organizzazione e bollate come superficiali, di persone che non capivano la verità, e che quindi perdeva contatti con il mondo “reale”.

La setta diventata via via l’unico punto di riferimento per i rapporti sociali e lavorativi, gli adepti spesso si trovano a sostenere economicamente il guru con il proprio lavoro, rigorosamente all’interno della setta stessa e vedere proibiti i rapporti con chiunque al di fuori di essa. Privati del proprio spirito critico, vivono affidandosi completamente al guru anche per le decisioni più basilari, come ad esempio cosa mangiare o quanto dormire. I guru spesso ordinano alle proprie vittime di mangiare cibi poco nutrienti e dormire poco in nome di una sorta di “elevazione spirituale”, che si traduce in realtà in un sottile meccanismo di manipolazione col fine di indebolire ancora di più mentalmente la vittima. Gli adepti eseguono senza fiatare ciascuna di queste richieste, come se ad ordinarle fosse un dio in persona, fino alle estreme conseguenze come per esempio il suicidio di massa a Jonestown. Casi come questo sono fortunatamente pochi, ma di certo il numero di vite che le sette hanno distrutto in vari modi sono molti, troppi, e capire quanto più possibile del modo in tutto ciò accade è importante per proteggersi adeguatamente.

 

Letizia Proietti

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