Nel contesto delle sempre crescenti preoccupazioni riguardanti l’etica e l’impatto sociale delle grandi aziende tecnologiche, Google si trova al centro di un acceso dibattito per aver licenziato ventotto persone dopo una protesta dei dipendenti Google. Le polemiche hanno preso forma intorno al progetto Nimbus, un accordo milionario con il governo israeliano, che ha generato proteste interne e, di conseguenza, licenziamenti di dipendenti. I licenziamenti sono arrivati in seguito ad una grossa irruzione nella sede in California del grosso colosso informatico, protestando appunto contro l’accordo che Google ha sottoscritto con lo Stato sionista di Israele.
Le polemiche su Project Nimbus: la protesta dei dipendenti Google e i successivi licenziamenti
La decisione di Google di licenziare ventotto dipendenti ha scatenato nuove polemiche attorno al progetto Nimbus, un accordo da 1,2 miliardi di dollari stipulato con il governo israeliano per lo sviluppo di servizi cloud. La protesta de dipendenti Google è stata portata avanti da un gruppo di solidali che si chiama “No Tech for Apartheid”. Questi dipendenti, ormai da tempo, si battevano contro il genocidio in Palestina, cercando di prendere posizione contro il colosso informativo: avevano infatti accusato Google di “fare affari con chi porta avanti il genocidio”.
In particolare, si sono scagliati contro il Progetto Nimbus, che vede coinvolti anche Google Cloud e Amazon Web Services. Questo progetto è stato oggetto di critiche dopo le segnalazioni di Intercept e Time riguardo ai suoi potenziali utilizzi militari da parte delle forze israeliane. Secondo la protesta dei dipendenti Google, Project Nimbus potrebbe fornire tecnologie che potrebbero essere impiegate per danneggiare i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.
I licenziamenti e le proteste dei dipendenti Google
I licenziamenti sono avvenuti poco dopo l’arresto di nove dipendenti durante un sit-in negli uffici del CEO di Google Cloud, Thomas Kurian, sia in California che a New York. La portavoce di Google, Anna Kowalczyk, ha dichiarato che i dipendenti sono stati licenziati a seguito di un’indagine interna che ha accertato il loro coinvolgimento nell’ostacolare fisicamente il lavoro degli altri dipendenti e nell’impedire loro l’accesso alle strutture aziendali.
Bailey Tomson, un altro portavoce di Google, ha rivendicato l’arresto dei nove dipendenti dicendo che “hanno impedito fisicamente il lavoro di altri dipendenti e questo costituisce una violazione delle politiche di Google”. Inoltre, ha continuato dicendo che dopo la protesta dei lavoratori Google, i colpevoli sono “stati messi in congedo amministrativo”.
La posizione di Google e le reazioni dei dipendenti
Google ha ribadito che il contratto di Project Nimbus non è destinato a fini militari, ma alcuni dipendenti licenziati hanno espresso chiaramente il loro dissenso riguardo al coinvolgimento dell’azienda in progetti che potrebbero causare danni umani. Le proteste contro Project Nimbus sono state caratterizzate da una forte opposizione interna, con alcuni manifestanti che hanno persino occupato gli uffici dell’amministratore delegato di Google Cloud fino a quando non sono stati rimossi con la forza dalla polizia.
Le implicazioni del Progetto Nimbus
Project Nimbus è nato nel 2021 e ha generato tensioni interne all’azienda fin dalla sua concezione. Tuttavia, le proteste sono aumentate considerevolmente a seguito degli eventi recenti a Gaza e della crescente preoccupazione riguardo alla militarizzazione nel settore tecnologico. L’azienda ha sottolineato che non tollererà comportamenti che vadano contro le politiche aziendali, ma le proteste continuano a suscitare dibattiti riguardo al ruolo delle grandi aziende tech in contesti di conflitto.
Secondo alcune fonti di Google, alla protesta hanno partecipato anche altri lavoratori dipendenti del grande colosso Amazon, altra azienda firmataria del progetto Nimbus. La repressione di Google in realtà è continua già dallo scorso dicembre, quando, a seguito di proteste via web di alcuni dipendenti, il colosso aveva licenziato dei lavoratori a seguito di proteste e incitazioni a dibattiti pro Palestina.
Reazioni esterne e la voce dei manifestanti
L’azione repressiva dopo la protesta dei dipendenti Google ha scatenato reazioni anche al di fuori dell’azienda, con gruppi come No Tech for Apartheid che hanno guidato le proteste contro l’accordo con il governo israeliano. Queste manifestazioni sono state accolte con contrasti da parte dell’azienda, che ha addirittura vietato la discussione su Project Nimbus sui canali di messaggistica aziendale. La resilienza dei manifestanti è sempre più alta, in quanto continuano a esprimere la loro opposizione, definendo i licenziamenti un atto di ritorsione e sottolineando l’importanza di non supportare progetti che possano contribuire a danneggiare le comunità colpite dai conflitti.
Il dibattito in corso
La protesta contro Project Nimbus si inserisce in un più ampio dibattito riguardo al ruolo delle grandi aziende tech nella società e sulle implicazioni etiche dei loro progetti. Mentre Google continua a difendere le proprie azioni, i manifestanti rimangono determinati nel loro intento di far sentire la propria voce e di porre fine al coinvolgimento dell’azienda in progetti controversi come questo.