Tutti sanno come si sviluppa un tumore?
Il cancro nasce perché, in una cellula, si accumulano danni genetici che, se non vengono riparati, portano ad una moltiplicazione cellulare incontrollata.
Fin qui nulla di nuovo, sono certa che ognuno di noi abbia già sentito parlare di questa solfa genetica, almeno una volta nella vita. Se ne parla ai telegiornali, al mercato, nella piazza del paese; l’argomento “tumori” è sempre molto gettonato.
Ma la biologia umana è un campo affascinante, quanto ancora molto oscuro; ancora non si conoscono i meccanismi di riparazione del Dna, ancora non si riesce a sconfiggere questo male tenebroso.
Così, mentre noi stiamo a preoccuparci di come prevenire questa terribile e mortale malattia, che difficilmente ancora viene curata, ecco che dall’altra parte del mondo, in zone dove il sole sembra non tramontare mai, la soluzione. Eureka.
E’ l’elefante, uno dei più grandi animali del pianeta. Vive nelle regioni più calde, in particolare in Africa e in Asia, ama le grandi pianure, ed è rigorosamente vegetariano. Gli alberi sono la sua principale fonte di nutrimento, insieme a bacche, foglie, rametti, germogli… Pare che ingurgiti circa 400 chili di verdura al giorno; di certo a km 0.
Ma perché questo interesse per i pachidermi?
Niente di più semplice. Pare che questi colossi della savana, dalle zampone talmente grandi da distruggere un’automobile ad un solo passo, ebbene sì; loro non si ammalano di cancro.
Anni e anni di evoluzione umana, antropogenesi, evoluzione della conoscenza in campi come la medicina e la tecnologia, per morire annientati da una mutazione genetica, e lasciare il posto ai re della savana.
A parlare è ancora una volta la scienza.
Un gruppo di ricercatori americani dell’University of Utah di Salt Lake City, ha dimostrato che questi animali, diversamente da altre specie, presentano nel loro Dna, copie multiple di un gene oncosoppressore, chiamato TP53, che pare abbia un ruolo protettivo.
Il gene TP53 altro non può essere se non una proteina, perché in biomedicina sempre di proteine si parla, anche conosciuta come “proteina tumorale”. E’ un fattore di trascrizione che regola il ciclo cellulare, e ricopre la funzione di soppressore tumorale. Ha un ruolo centrale in una vasta rete di altre proteine, che consentono lo stato di buona salute di una cellula, e del Dna cellulare.
Dunque, stiamo forse dicendo che esiste una proteina miracolosa che bloccherebbe il meccanismo di replicazione cellulare incontrollata, che genera il cancro stesso, contro il quale la comunità scientifica cerca di combattere da ormai oltre 20 anni?
La curiosità è donna, l’ignoranza umana e la ricerca è la disciplina più affascinante che possa esistere al mondo.
E’ sufficiente un’elementare conoscenza di biologia cellulare, per essere a conoscenza, seppur approssimativamente, del ciclo vitale di una cellula. Tutti sappiamo che le cellule sono programmate per autodistruggersi, nel caso in cui i processi di replicazione sviluppassero danni o difetti al loro Dna, troppo gravi per essere riparati. Ed è proprio in questo meccanismo di morte programmata, che svolge un ruolo importantissimo la proteina P53, che partecipa all’attivazione del processo di autodistruzione, delle cellule diventate difettose.
All’interno di noi esiste un meccanismo congeniale e perfetto, che ci permette la vita. Non importa quanto siamo intelligenti, svegli, colti; questi organismi saranno sempre mille volte avanti a noi, e molto sul loro conto, ancora è oscuro alla scienza.
Si sa che le cellule tumorali sono in grado di disabilitare P53, consentendo alle cellule danneggiate di sopravvivere e replicarsi, favorendo così lo sviluppo di neoplasie.
L’obiettivo dei ricercatori, quindi, è trovare un farmaco in grado di ripristinare il funzionamento di P53, in modo da consentirle di funzionare da spazzina delle cellule difettose, preservando l’organismo dallo sviluppo di molti carcinomi.
Ma cosa succede, invece, nei nostri amici della savana?
I ricercatori americani, (sempre di America si parla), guidati da Joshua Schiffman, hanno pensato bene di studiare la “resistenza” al cancro di alcuni mammiferi, compresi i nostri cari elefanti, confrontando il loro Dna con quello di persone sane, e di pazienti affetti dalla sindrome Li-Faumeri, una condizione genetica correlata ad un altissimo rischio di sviluppare tumori.
E cos’hanno scoperto?
La prima cosa che hanno dimostrato, è che la mortalità per tumore non cresce all’aumentare della taglia, e nemmeno della durata della vita. Nonostante la grande taglia, di fatto, gli elefanti hanno una probabilità di morire di cancro del 4,8 %; mentre per gli uomini varia dall’11 al 25%.
La seconda particolarità estremamente interessante, che ha dimostrato lo studio americano, è proprio la presenza, nel Dna elefantesco, di copie multiple del gene TP53, questo importante gene soppressore, che si trova mutato nella maggior parte dei tumori umani. E’ stato dimostrato che gli elefanti africani ne possiedono almeno 38 all’interno del loro patrimonio genetico; noi poveri umani ne abbiamo una sola copia, e i pazienti affetti dalla sindrome di Li-Fraumeni, possiedono uno solo dei due alleli della copia funzionante, per cui la loro probabilità di sviluppare un tumore va dal 90 al 100%.
“La natura ha già capito come prevenire il cancro”, sentenzia Joshua Schiffman, oncologo pediatrico dell’Huntsman Cancer Institute, “sta a noi imparare come i diversi animali affrontano il problema, in modo da poter adeguare tali strategie alla prevenzione del cancro nelle persone”.
Il regno animale conterrebbe dunque informazioni preziose, che potrebbero aiutare a curare molte malattie umane.
Il prossimo passo per la scienza sarà capire se tali scoperte, su questi pachidermi giganteschi, che vantano un corredo cellulare 100 volte superiore al nostro, e sono stati di certo baciati dalla genetica, possano essere utili nella ricerca oncologica umana.
O non ci resta che sperare nella reincarnazione in un essere gigantesco grigio, rugoso, e dalla lunga proboscide.