In principio era la distinzione destra – sinistra, una distinzione essenzialmente fatta di classi economiche e di fiducia nell’interventismo statale. C’erano certo anche altri fattori all’opera: dove il conflitto tra stato e chiesa, dove quello tra centralismo e federalismo, dove quello tra mondo agricolo e mondo della città. Ma insomma destra sinistra, lungo la linea classe e stato sociale, era una distinzione ben chiara.
Poi sono venuti i valori post materialisti. Non più solo classe e welfare state ma soprattutto diritti individuali e libertà personali, insieme agli interessi diffusi, innanzi tutto l’ambiente. La frattura destra – sinistra tradizionale ha però retto, tanto che dove hanno acquisito un radicamento elettorale anche i partiti monotematici, i verdi ad esempio, sono stati alla fine costretti a collocarsi lungo quella stessa frattura.
E’ stata poi la crisi del welfare state. Troppe le domande rivolte allo stato garante della cittadinanza sociale, troppa la regolamentazione a danno della libertà di intraprendere, troppa la burocrazia per spingere la crescita. Lo stato è il problema non la soluzione: ne era convinta una parte della destra e ha cominciato a pensarlo anche una parte della sinistra. Liberisti contro statalisti: una frattura che si è innestata su quella tra destra e sinistra. Finiva il secolo socialdemocratico: finivano le classi, la fiducia nello stato, il welfare state. Liberali di destra contro liberali di sinistra era la nuova linea di frattura.
L’11 settembre, la crisi dell’Unione europea e la crisi finanziaria hanno cambiato nel giro di dieci anni il campo di gioco. La frattura è ora tra nazionalismo statalista e sovranista (basta immigrazione, basta euro, basta mercato globale) e società aperta. Il voto recente del Parlamento europeo sul trattato commerciale con il Canada la rappresenta plasticamente: nazionalisti di destra e di sinistra contro liberali di destra e di sinistra. Il prossimo voto in Francia sarà il primo costruito esplicitamente lungo questa linea di frattura: la prossima rivoluzione francese, come dice The Economist. Non solo quindi sull’incrocio tra destra/sinistra e liberali/statalisti, per altro poco incisivo in Francia, ma sull’asse società aperta contro statalismo sovranista.
Giorgio Armillei