La povertà educativa è una questione ereditaria

Dati allarmanti delineano un quadro in cui, piuttosto che il talento individuale, è la casualità della nascita a determinare i percorsi educativi e di vita dei giovani

La povertà educativa è una questione ereditaria

Un recente studio condotto da OpenPolis ha rivelato che oltre un terzo dei figli di genitori non diplomati vive in condizioni di deprivazione. Questo dato, emerso dall’indagine sulla condizione dei minori (ISTAT), evidenzia in modo emblematico quanto l’istruzione dei genitori influenzi ancora profondamente il destino dei loro figli.

La povertà educativa è una questione ereditaria – Openpolis ha esaminato questo legame tra istruzione dei genitori e prospettive future dei figli, evidenziando la persistenza di disuguaglianze profonde in tutta Italia. È stato osservato che il 33,9% dei minori di 16 anni, con genitori che hanno al massimo la licenza media, si trova in una situazione di deprivazione sociale e materiale. Questa percentuale è oltre dieci volte superiore rispetto ai coetanei con almeno un genitore laureato, i quali registrano una percentuale di soli il 3%.

Inoltre, è stato evidenziato che anche la probabilità di conseguire una laurea dipende notevolmente dal livello di istruzione dei genitori, confermando l’esistenza di un’ “ereditarietà” nella condizione di partenza. Ciò sottolinea l’importanza cruciale di investire nel ruolo dell’istruzione per tutti, al fine di contrastare efficacemente le disuguaglianze di partenza e promuovere un reale accesso alle opportunità educative.

Nel 2021, il 73,6% dei 25-49enni ha almeno il diploma, dimostrando un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, è importante sottolineare che esistono ampi divari tra le diverse città italiane. Ad esempio, mentre a Siena l’87% dei residenti nella fascia d’età considerata possiede almeno il diploma, ad Andria questa percentuale scende al 55%, evidenziando la necessità di interventi mirati e differenziati a livello territoriale.

La trappola della povertà educativa

Un esempio tangibile di questa disparità emerge dall’analisi dei risultati degli esami Invalsi 2023, che evidenzia un divario significativo tra gli studenti delle famiglie benestanti e quelli provenienti da contesti svantaggiati. Mentre gli studenti di terza media appartenenti a famiglie con condizioni socio-economiche-culturali elevate ottengono un punteggio medio di 215 in italiano, quelli provenienti da famiglie svantaggiate raggiungono solamente 183,7, con una differenza di oltre 30 punti.

Le ricerche condotte dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) hanno confermato che la probabilità di completare gli studi universitari è notevolmente più alta tra gli studenti i cui genitori sono laureati, rispetto a coloro i cui genitori hanno solo la licenza media. Mentre solo il 12% dei figli di genitori con licenza media riesce a laurearsi, la percentuale sale al 75% tra i figli di laureati.

Questo perpetuo circolo vizioso, noto come trappola della povertà educativa, alimenta e rinforza le disparità socio-economiche di generazione in generazione. Rompere questo ciclo è una sfida complessa, che richiede un impegno congiunto da parte della società e delle istituzioni. È essenziale garantire a tutti i bambini e i giovani un accesso equo a un’istruzione di qualità, indipendentemente dalla situazione familiare di provenienza.

Inoltre, per superare le limitazioni imposte dalla loro condizione socio-economica, è fondamentale investire nel potenziamento delle comunità educative locali. Questo implica un sostegno attivo da parte di individui, associazioni e istituzioni che offrono opportunità culturali, sportive, sociali ed educative sul territorio.



Le differenze tra nord e sud

I dati recenti evidenziano che in Italia quasi tre residenti su quattro, compresi tra i 25 e i 49 anni, hanno conseguito il diploma di scuola superiore o una laurea. Tuttavia, è importante notare le significative variazioni regionali: mentre in alcune regioni come il Trentino-Alto Adige questa percentuale raggiunge l’83,2%, in altre come la Sicilia si attesta solo al 64,8%. Se si considerano le regioni con le percentuali più basse, emergono la Sardegna (65,9%), la Puglia (67,6%) e la Campania (67,8%).

Analizzando la situazione a livello locale, si osserva che alcuni capoluoghi si distinguono per un elevato tasso di istruzione. Siena, ad esempio, vanta una percentuale sorprendente, con quasi il 90% dei residenti tra i 25 e i 49 anni che hanno conseguito almeno il diploma di scuola superiore. Al contrario, le città del Mezzogiorno tendono ad attestarsi tra gli ultimi posti per quanto riguarda il numero di diplomati o laureati. Ben 16 delle 20 città con la percentuale più bassa di istruzione si trovano nell’Italia meridionale.

I rischi e le conseguenze della povertà educativa ereditata

Dai riscontri forniti dal rapporto di Save the Children, intitolato “Illuminiamo il Futuro 2030“, emergono realtà spesso ignorate ma altrettanto cruciali. Si evidenzia che i bambini e gli adolescenti provenienti da contesti svantaggiati non solo devono affrontare una sfida economica, ma sono anche privati delle opportunità culturali e sportive che potrebbero arricchire le loro esperienze e sviluppare le loro capacità, trovandosi spesso in una situazione in cui la mancanza di risorse limita anche la loro capacità di stabilire relazioni emotive, sia con se stessi che con gli altri. Questo ciclo negativo di povertà educativa spesso si perpetua attraverso le generazioni, creando un divario sempre più ampio tra coloro che hanno accesso alle opportunità e coloro che non ne hanno.

Per spezzare questo circolo vizioso, è necessario un approccio integrato che coinvolga non solo il sistema scolastico ma l’intera comunità educante. Le scuole, pur essendo un pilastro fondamentale, non possono assumersi da sole la responsabilità di garantire un’educazione completa e inclusiva. È essenziale unire le forze delle istituzioni, delle associazioni, delle università e delle comunità locali per creare una rete solida e sostenibile che possa fornire supporto ai giovani in situazioni di disagio.

In Italia, come dimostrano le ricerche condotte da Oxfam, la povertà educativa è strettamente legata alle condizioni socio-economiche delle famiglie. Questa condizione, in cui la povertà economica e educativa dei genitori viene trasmessa ai figli, contribuisce a perpetuare le disuguaglianze e mina le possibilità di progresso sociale ed economico per intere generazioni.

Secondo il rapporto dell’OCSE Education at Glance del 2023, sebbene un diploma di scuola secondaria superiore sia spesso il livello minimo richiesto per avere successo nella partecipazione al mercato del lavoro, il 22% dei 25-34enni in Italia non ha conseguito una qualifica secondaria superiore, superiore alla media OCSE del 14%.

La povertà cognitiva assume sfaccettature diverse anche in relazione all’origine migrante dei genitori. Secondo i dati, il 38% dei ragazzi di 15 anni con genitori migranti di prima generazione, cioè non nati in Italia, non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica (e il 40% in lettura), mentre tale percentuale scende al 27% per i ragazzi di 15 anni con genitori migranti di seconda generazione, ovvero nati in Italia da genitori stranieri (con il 22% in lettura).  È fondamentale evidenziare che i genitori con origine straniera hanno maggiori probabilità di appartenere a categorie socio-economiche svantaggiate, il che contribuisce in larga misura all’alta incidenza di minori migranti in situazioni di povertà educativa.

La genitorialità non è una funzione innata, ma un ruolo che può essere appreso. Pertanto, è imperativo che la società sostenga le famiglie affinché possano accedere a tutte le risorse necessarie, sia materiali che economiche, educative e culturali, per guidare i propri figli lungo il percorso della vita.

La questione del dimensionamento scolastico

La decisione del Governo di aumentare il numero massimo di alunni per istituzione scolastica, passando da 600 a 900, secondo molti avrà ripercussioni dirette sulle realtà locali. Il dimensionamento scolastico, che comporta la riduzione delle autonomie e la fusione di istituti sotto una sola direzione, porta a una ridistribuzione del personale scolastico in base a criteri puramente aritmetici, trascurando le complessità gestionali di realtà eterogenee.

La resistenza della Campania e di altre regioni a questa disposizione mira a contrastare gli effetti negativi di una scelta che graverà interamente sulle scuole e sui cittadini.

È cruciale riflettere sulla gravità delle conseguenze di questa decisione e chiarire le ambiguità presenti nella narrazione attuale. Il Ministro Valditara ha rassicurato che nessun istituto sarà sacrificato e che gli studenti non subiranno conseguenze. Tuttavia, tale affermazione solleva un paradosso logico-linguistico: se i costi dei plessi scolastici ricadono sugli enti locali e non sul Ministero, quest’ultimo non può competere nel pronunciarsi su questo argomento. Inoltre, mantenere invariata la quantità di istituti non garantisce la stessa qualità del servizio educativo, elemento fondamentale per il successo degli studenti.

Il progetto educativo dovrà soddisfare le esigenze di una vasta gamma di studenti e studentesse, ma le risorse e il supporto necessari saranno limitati, aumentando il rischio di marginalizzazione e disuguaglianza. Ad esempio, una scuola situata in un quartiere privilegiato avrà esigenze diverse da quelle di un istituto in un’area svantaggiata, ma entrambe saranno sacrificate sull’altare dell’efficienza, creando tensioni sociali sia nel nord che nel sud del Paese.

Se l’istruzione è considerata fondamentale per l’emancipazione e la risoluzione delle crisi sociali, non si possono ignorare le condizioni necessarie per il suo corretto funzionamento.

Affrontare la povertà educativa richiede un impegno collettivo e una volontà politica forte. È solo attraverso un investimento significativo nelle risorse educative e culturali che sarà possibile garantire un futuro migliore per tutti i giovani, indipendentemente dal loro background socio-economico.

Aurora Compagnone

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