La positività tossica sta distruggendo la salute mentale

positività tossica

“Basta solo crederci!”, “Impegnati e avrai successo!”, “Se non ti piace la tua vita cambiala!”: ogni giorno, hashtag improbabili e campagne pubblicitarie non particolarmente originali ci mettono di fronte al nostro senso di inadeguatezza, facendoci sentire ancora più in colpa per una felicità che tarda ad arrivare. Che cos’è questa se non positività tossica?

In questo periodo delicato la positività tossica sta contribuendo a danneggiare il nostro benessere. Da sempre la salute mentale delle persone non viene considerata una priorità nel nostro Paese. Questo non solo in quanto  le istituzioni non investono nelle risorse necessarie, ma anche perché si sottovaluta la gravità di una narrazione  che mette al centro la positività a tutti i costi. Quest’ultima prende completamente le distanze dal sano ottimismo necessario per cambiare le abitudini negative o dal bisogno di leggerezza e diventa, invece, una vera e propria imposizione sociale. Si parla, quindi, di quella positività tossica che alimenta la pericolosa retorica che “Se sei infelice è solo colpa tua!”.

Il Covid  e l’aumento della positività tossica 

Il Covid ha avuto un forte impatto sulla salute mentale della popolazione mondiale, come dichiarato  dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità. I casi di suicidio e di depressione sono aumentati drasticamente, parallelamente alla riduzione nel nostro Paese dei servizi per la salute mentale. Ed è per questo che urge la necessità di contrastare questo tipo di disinformazione, sempre più in aumento, che vede la tristezza come un fallimento personale, mentre la positività  come sinonimo di felicità e successo. Poco importa se si è perso il lavoro o una persona cara, se si ha ereditato condizioni sociali ed economiche sfavorevoli o si è stati vittima di violenza,  ognuno deve essere sempre positivo. Essere tristi sembra quasi una colpa.

La positività tossica nel marketing

Una convinzione talmente radicata tanto da essere ormai normalizzata in ogni contesto della vita quotidiana.  Dal marketing quando le grandi aziende propongono in continuazione corsi e prodotti in cambio di benessere e felicità.  Nel lavoro quando si è costretti a sorridere tutta la giornata, anche quando si viene sfruttati e sottopagati.  Fino a comprendere anche i processi politici quando si comunicano messaggi in apparenza rassicuranti e ottimisti in cambio di consenso. Persino nelle situazioni in cui in maniera velata si sminuiscono le lotta per i diritti civili, con la motivazione che ci sono questioni più urgenti da risolvere. Quante volte, poi, si sente parlare di bullismo come qualcosa che si può superare facilmente con indifferenza e con un po’ di sorriso, dimenticando l’alto tasso di suicidi che c’è dietro.  Stessa sorte per le altre forme di discriminazioni.

Su tutti i media

Da internet alla televisione, ai messaggi pubblicitari tutto sempre essere impregnato da una comunicazione manipolativa basata sull’idea che basti pensare positivo per attrarre la felicità. Una mera illusione che fa ricadere la responsabilità delle esperienze negative esclusivamente sulle proprie scelte, alimentando  il senso di impotenza, di frustrazione e di ansia sociale. Come se le nostre vite debbano per forza rientrare nelle dicotomie di bello o brutto, buono o cattivo, portando a costruire la nostra identità più sulla negazione di quella degli altri che sullo sviluppo della propria.

Tristezza e rabbia sono emozioni legittime 

E, invece, la tristezza e la rabbia sono emozioni importanti e legittime quanto le altre.  E, per quanto impopolare sia da accettare, anche il dolore fa parte della vita e non sempre si può evitare. Ognuno vive le emozioni in modo soggettivo, nessuno sceglie di essere triste e depresso. Il dolore non è uguale per tutti, così come il vissuto delle persone. In questo periodo delicato abbiamo bisogno di leggerezza che non si traduce in superficialità o in pressione sociale su come dovremmo vivere le nostre vite per attrarre il siccesso e la felicità. Non siamo macchine, ma essere umani.

Roberta Lobascio

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