Di Barbara Benedettelli
C’e’ un mondo vasto che intravediamo soltanto. E’ il mondo delle Vittime della violenza. Dei familiari di chi e’ stato ucciso. Ci spaventa. Le nostre paure sono tutte lì, realizzate. Solide come pietra. E’ lì quel dolore che lo stesso Gesu‘, ancora uomo, ha sofferto nella sua carne trafitta. Quel male fisico e dell’anima che ha colpito e macellato il cuore di Sua madre. Impotente di fronte all’ingiustizia, all’assassinio di Suo figlio. Piegata. Scarnificata. Come piegate e scarnificate sono ancora oggi migliaia di persone alle quali è stato ucciso il frutto vivace dell’amore.
Oggi possiamo definirci liberi. Liberi di autodeterminare i nostri destini. Le nostre vite. Ma ancora non siamo stati capaci di renderci liberi di vivere. Eppure senza vita non c’è libertà. Parliamo di giustizia, ma non sappiamo renderla giusta. Parliamo di gioia, la cerchiamo nel cuore e negli altri, ma non sappiamo darla a chi non è più capace di sentirla dentro di sé.
Aveva ragione il cardinal Carlo Maria Martini quando diceva:«Dio ha forse creato l’uomo desideroso di giustizia, ma incapace di realizzarla?» Ci lamentiamo, a volte a ragione, perché i mass media mandano messaggi pericolosi per i nostri figli, ma che messaggio dà l’apparato giudiziario attraverso atteggiamenti giustificazionisti e perdonisti, verso delitti di enorme gravità? Delitti contro la vita, la salute, l’integrità. Il perdono è un sentimento, nobile, certamente. Ma non può essere il mezzo per evitare di assumere su di sé la colpa del male che si è fatto. La responsabilità delle proprie azioni.
Eppure oggi, nell’epoca in cui si paga tutto, non c’è nulla di meno costoso di un’esistenza umana. Con la vita siamo magnanimi anche quando viene spaccata. Scendiamo a patti con facilità con quel male che ci appartiene ma che dobbiamo arginare, vincere, correggere o semplicemente governare se vogliamo davvero un mondo di gioia. Se vogliamo, semplicemente, un mondo.
Prendo ancora in prestito le parole del Cardinal Martini: “Su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità, la pace, sarà anche possibile a ciascuno di noi compiere qualche passo verso questi ideali, troppo alti per essere raggiunti qui sulla terra, ma troppo necessari per poterne fare a meno del tutto in questo mondo.” Necessari sì. Irrinunciabili.
Stiamo attraversando un periodo di grave crisi d’identità. Siamo nel mezzo di un cambiamento epocale del quale stiamo percorrendo l’ultimo tratto. Il più sottile. Se ci agitiamo troppo e perdiamo lucidità rischiamo di cadere dalla parte sbagliata. Ma qual è quella giusta? Per millenni ci ha sostenuto la morale cristiana, una morale che, volenti o nolenti, ci ha condotti fino a qui. Eppure, nonostante tutto ciò che ci ha dato, stiamo dando il colpo di grazia a Dio. Tra una crisi e l’altra c’è il nichilismo, ovvero la perdita di ogni valore: il luogo in cui ci troviamo oggi e dal quale, in un modo o nell’altro, dobbiamo sforzarci di uscire. È nella vita stessa che dobbiamo ritrovare Dio. Nella sua tutela e nel valore che dobbiamo imparare a darle. Non è vero che non ha prezzo. Ce l’ha. Si chiama libertà.
Ecco perché è nato Vittime per Sempre. Un testo che piange e grida e chiede con forza attenzione verso una realtà che è anche la nostra. Verso un male che dobbiamo imparare a prenderci addosso per alleviare un dolore infernale causato dall’incapacità umana di sentire l’altro come se stessi. Di vedere nell’altro un mondo e Il Mondo insieme. Siamo incapaci di creare un sistema giudiziario che possa per davvero tutelare i diritti umani e di determinare il primato della vita su tutti gli altri. E quando si parla di diritti umani lo si fa solo verso la tutela di quelli dei colpevoli, mai, o raramente, si parla di diritti umani delle loro Vittime. Ecco dove si trova la sua ragione, la sua necessità. In una battaglia civile, etica, che deve diventare anche politica. Non possiamo permettere che chi è stato strappato alla terra e al disegno di Dio sia dimenticato. Perché quella morte vive. Resta. E sporca la terra che calpestiamo tutti insieme.
La legge umana è necessaria per impedire agli uomini di annullarsi l’un l’altro. Sia certa. Severa. Sia legge! Non lo è. Non sa riconoscere quel male, quell’ingiustizia, quelle vite come immensità. Come negare giustizia e diritti a chi ha subito le peggiori violenze e poi proteggere chi le ha perpetrate anche a costo di calpestare ancora la dignità degli innocenti? Che Paese è un Paese che fa così? Che è sordo al grido composto di queste madri, di questi figli che hanno perso un mondo.
La Bibbia, al di là del suo valore religioso, è un testo molto antico, utile a tutti, anche ai non credenti. E’ netta tra le sue pagine la distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, tra libera scelta e gravità delle azioni. Una consapevolezza che oggi pare abbiamo perduto: “Quando la volontà si orienta verso una cosa contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale […] tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio […] È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso. […] La materia grave è precisata dai dieci comandamenti. […] Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L’ignoranza simulata e la durezza del cuore non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono. […] Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave. […] Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante […]. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l’esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell’inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. […] Si commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia leggera, non si osserva la misura prescritta dalla legge morale, oppure quando si disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza o senza totale consenso […] merita pene temporali. «Il peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento, ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. […] La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo». [… ] Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice. […] La tradizione catechistica ricorda pure che esistono «peccati che gridano verso il cielo”
E verso il cielo grida il sangue di Abele. Come grida verso il cielo il lamento delle vedove, degli orfani, dei genitori. È lassù che l’urlo degli innocenti acquisisce potenza per ritornare alla gente in cerca di qualcosa che possa impedire, prima o poi, la sua necessità, o per rimbalzare in eterno tra terra e cielo, se il prossimo è come sordo a ciò che non vuole ascoltare.