Nei momenti di dissesto culturale la politica allappa.
L’assetto formativo è la base e la fonte su cui si edifica l’impianto civile e politico. Il che non implica che la cultura sia politicizzata, anzi esula da questa “mistificazione”. Il filtro di cui deve munirsi una classe politica deve attingere al repertorio culturale che contraddistingue l’assetto sociale nella sua evoluzione.
Il passato, la memoria, l’origine del nostro sentire sono le cariatidi del nostro tempio futuro. E chi sconsideratamente non deputa e onora, poiché non conosce, crea un horror vacui tra le intercapedini politiche che devono sostenere il sistema cognitivo. La conoscenza, la tensione verso il sapere (come il mito faustiano) è l’unica erma, come in quadro di Sironi, che rimane e rimarrà ineludibilmente.
Se la policy non considera che l’Italia prima di essere stata una nazione è stata uno stigma culturale non può costruire l’edificio civile. La nostra culla è il Medioevo dove si è creata la consapevolezza come individuo, il Rinascimento ha maturato l’umanesimo, il Barocco ha “misticizzato” il pathos, il settecento ha gorgheggiato tra volte, esotismi e scale, tributando un neoclassicismo, l’Ottocento ha scosso i moti dell’animo e il Novecento con la sua eterogeneità e discontinuità ha rotto con l’armonia tonale e gettato l’amo delle Avanguardie. Questo iter sotteso allo stilema politico. Siamo parte di unicum umano, artistico, culturale che non deve soggiacere all’irruzione di paradigmi vacui, privi di contenuto.
Ciò che conta è la sostanza, il dibattito è animato dalle idee. Il pensiero è il fondamento della storia della dottrina e della scienza politica. Sennò si ricade in ritornelli populisti che ingabbiano il tessuto connettivo sociale e culturale e aprono al demone della retorica. E’ un momento di stasi culturale che inficia il reparto politico. Ricostruire una tradizione letteraria, ristabilendo la giusta autorevolezza e autorità all’apparato cognitivo e al suo nutrimento.