Il senso della politica
La morte del grande politologo Giovanni Sartori ha riportato a galla quel dibattito più che mai attuale sul senso della politica.
Un approccio appassionato alla scienza più bella di sempre, a quella branca inscindibile dalla vita umana, manca nella dialettica dei più acclamati politicanti di turno, manca nelle piazze e dà spazio invece a un lascivo chiacchiericcio da bar che si perde all’interno dei più celebri saloon televisivi.
Un approccio da talk show, sempre e comunque. Per non parlare di quegli affondi che martoriano i dati, la teoria, la realtà – vera, non raccontata – e l’informazione.
Thomas Mann scriveva: “In our time the destiny of man presents its meaning in political terms”. “Ai nostri giorni il destino dell’uomo presenta il suo significato in termini politici”.
Ma come vi può essere destino ove l’idea ha lasciato il passo a un tifo da stadio per tutto quanto si distacca dalla politica?
La politica mondiale
Oggi scrive Vittorio Zucconi su La Repubblica, che “torna prepotentemente di moda la realpolitik, cara ai Kissinger e ai Nixon” ove “se i dittatori fanno gli interessi delle nazioni Occidentali, l’assenza di democrazia, di legittimità politica, i Giulio Regeni saranno nella sostanza ignorati e quei despoti saranno salutati come statisti e amici”. “La formula Pinochet”.
Una formula, quella utilizzata da Zucconi, che entra al cuore del dibattito sulla politica odierno non solo in ragione del da lui citato incontro, con tanto di onori di stato, del Presidente Trump con l’egiziano Al Sisi, non solo del da lui citato “appoggio incondizionato” del Presidente Vladimir Putin a Bashar Assad in Siria, ostentato tra le altre cose oggi all’interno del Consiglio di Sicurezza straordinario dell’ONU dopo i fatti di ieri. E ove la Russia potrebbe porre il veto di fronte a un crimine di guerra grave.
La si ostenta, nel nostro piccolo, in Italia, ove uno dei massimi rappresentanti del partito di maggioranza – stando ai sondaggi – alias il Movimento 5 stelle, Alessandro Di Battista, all’interno di un talk afferma che saranno i siriani a valutare se Assad è un dittatore, nonostante si parli di una guerra civile iniziata dalla cruenta soppressione di liberi cittadini manifestanti contro il regime.
Vi è poi il sogno della politica dell’Unione che viene meno, soppressa dall’interesse nazionale, dall’esaltazione cieca più che di un ideale, a volte, di un indecoroso slogan.
È il caso dell’atteggiamento dei Paesi dell’Est, che rafforzano il blocco d’opposizione per la redistribuzione dei richiedenti asilo e a cui Bruxelles ha risposto con la possibilità di ridurre i fondi comunitari. Insomma, una classe da 27 alunni in cui solo 4 si rifiutano di fare un test e, tra l’altro, protestano ingiustificatamente.
In fondo, come risponde a una delle domande sul tema Pascal Manukian, in una recente intervista fatta da Ultima Voce, “sapevano che l’Europa era multi culturale e aperta ai migranti, prima che ne facessero parte. Non possono certo averlo scoperto adesso che sono dentro. Loro hanno richiesto la solidarietà da parte dell’Europa e ora la rifiutano ai migranti.”
Poi vi è il tragicomico discorso al Parlamento Europeo rivolto all’UE di Nigel Farage, leader di Ukip, nonché promotore della Brexit.
“Vi state comportando come la mafia. Pensate che siamo ostaggi. Non lo siamo. Siamo liberi di andarcene”.
Ripreso dal Presidente Tajani, che con un sonoro “Non ci sono né mafiosi né gangster. Ci sono rappresentanti dei popoli. E questa non è una questione di sensibilità nazionali. È una questione di civiltà e di democrazia.”, il dibattito continua con un Farage che replica: “Signor presidente comprendo le sensibilità nazionali. Cambierò (la definizione) in gangster perché è questo il modo in cui ci state trattando. Ci state dando una richiesta di riscatto”.
Ma, come dice Gianni Pittella, capogruppo dei Socialisti e Democratici, “riscatto di cosa?”
Anti
Una visione della politica sempre anti. Anti – conformista, anti – establishment, anti – relazionale, fine a se stessa, un po’ troppo autoreferenziale e, infine, vuota.
Una politica vuota, che si svuota di dibattiti secolari, e ripone invece il suo grido in un “il popolo ha fame”, ripetuto supinamente – ma senza concrete soluzioni, tanto che più che candidati al governo, par formarsi un nuovo sindacato – che in un dejavù sembra far tornare agli anni che precedono la Rivoluzione francese del 1789, con una Marie Antoniette, che a volte inquadra quella sinistra cinica presente oggi, che risponde “che mangino brioches”.
Tanto cinismo, ma poca sostanza. Tanta ignoranza, disseminata, coltivata, raccolta e diffusa in quell’ipocrita grido dei predicatori della verità, e che tuttavia finirà presto col ritorcersi contro.
C’è chi dice che seminando odio, non si raccoglierà mai amore. O potremmo banalmente recuperare quelle parole scritte da Benedetto Croce, all’indomani del Secondo Conflitto Mondiale, sulla mutevolezza dalla benevolenza alla crociata di condanna.
“Tal quale com’è avvenuto nel trapasso dai corteggiamenti al fascismo all’indignazione contro il fascismo, dall’invidia al popolo da questo beatificato all’obbrobrio contro lo stesso popolo per averlo tollerato.”
Ilaria Piromalli
Fonte immagine: https://left.it/2017/02/23/trump-putin-e-linternazionale-nera-della-destra-delloccidente/ EPA/YURI KOCHETKOV