In 70 anni la politica israeliana è passata da “uccidi e piangi” (così definita negli anni 70′), a “uccidi e ridi”. Questo fanno i civili che si godono lo spettacolo pirotecnico che ha causato 200 morti, tra cui 60 bambini, a Gaza.
La disputa politica, storica e religiosa che ormai da 70 anni fa da contorno all’esistenza di Israele e all’
invasione della Palestina è troppo complicata, e come sempre accade in questi casi la conoscenza e il ragionamento vengono soppiantati dall’ideologia e dall’emotività.
Eppure il nocciolo della questione è di una semplicità disarmante e trova la sua sintesi in una frase storica pronunciata negli anni 70′ da
Golda Meir, prima donna premier israeliana (in carica dal 1969 al 1974) tra i più feroci aggressori della Palestina:
“Potremmo perdonarvi per aver ucciso i nostri figli ma non vi perdoneremo mai per averci spinto a uccidervi”
Un concentrato di spietata ipocrisia che un cronista dell’epoca battezzò come politica del “Kill and cry”, uccidi e piangi, quasi che gli abitanti delle centinaia di villaggi occupati e distrutti da Israele e le migliaia di Palestinesi costretti a fuggire dalla loro patria per non potervi mai più ritornare dovessero presentarsi tutti insieme davanti ai loro carnefici per chiedere perdono.
Il primo ministro di oggi Bibi Netanyahu ha cambiato quella politica che parafrasando l’antica definizione potremmo chiamare “Kill and laugh”, uccidi e ridi.
Ride forte Bibi mentre chiama diritto a difendersi la distruzione delle città palestinesi e delle vite che contengono e ridono i “civili” che dalle alture intorno ai confini della Striscia di Gaza si godono lo spettacolo pirotecnico di quella distruzione.
Non c’è nulla di complicato, da un lato c’è un aggressore avido e spietato e dall’altro le sue vittime, e davanti a un tale scempio di vite e di giustizia diminuisce giorno dopo giorno la voglia di difendere il diritto all’esistenza di quell’aggressore.
Mario Piazza