Morale o politica?
La crescita esponenziale della popolazione mondiale ha portato ad un aumento considerevole degli allevamenti intensivi, macabri poli della sofferenza animale. Di fronte al peggioramento delle condizioni di vita degli animali non umani, negli ultimi decenni si sono moltiplicati anche i movimenti che combattono per i loro diritti e le filosofie circa l’alimentazione sostenibile. Queste ultime si muovono spesso su un terreno morale, individuando nei cibi consumati i criteri di giusto e sbagliato. Tuttavia, dovremmo chiederci se la domanda da porsi non sia il “cosa” mangiare, bensì il “come”, riscoprendo una vera e propria politica del mangiare.
Infatti, in testi come “Animal Liberation“(1975) di Peter Singer – uno dei filosofi più importanti dei diritti animali – il bersaglio principale delle critiche è la condizione in cui gli esseri viventi non-umani sono costretti durante tutta la loro esistenza. Vitelli chiusi in gabbie minuscole per atrofizzare i muscoli e rendere la loro carne più tenera, maiali immobilizzati che si auto-mutilano, galline terrorizzate per aumentare la produzione di uova, polli nutriti a forza e imbottiti di ormoni per aumentare la crescita prima del tempo (portando spesso al collasso delle zampe)… questi sono solo alcuni tra gli orrori che quotidianamente impartiamo agli animali non-umani.
La prospettiva utilizzata dal filosofo è quella utilitarista. Perciò non è alla ricerca di una verità assoluta da cui ricavare principi astratti che orientino la condotta umana. Piuttosto mira alla massimizzazione del benessere partendo dalla realtà empirica in cui viviamo. A partire dalla configurazione attuale della società e dalle sue possibilità, Singer cerca di riorganizzarla affinché vengano posti dei freni alla sofferenza animale inutile e alle ingiustizie compiute ogni giorno.
Non c’è dubbio: queste camere di tortura devono sparire, ma questo davvero significa necessariamente l’adozione di una dieta vegetariana o vegana?
Una dieta onnivora sostenibile
Nel 2006 ha fatto la sua comparsa sugli scaffali delle librerie uno dei best-seller più importanti sull’argomento: “Il dilemma dell’onnivoro” di Michel Pollan. In questo testo l’autore propone un viaggio nel mondo della produzione alimentare, analizzando i diversi modi in cui possiamo scegliere come nutrirci: attraverso la produzione industriale; la produzione locale; o l’autoproduzione.
Pollan sperimenta in prima persona i tre metodi, osservando i meccanismi di produzione e consumando un pasto che rifletta al meglio la sua esperienza. In primo luogo visita un allevamento intensivo. Qui assiste alle terribili condizioni di vita dei bovini, seguendo passo per passo la dolorosa crescita di un esemplare fino alla sua macellazione. La sua esperienza nei meccanismi di produzione industriale culmina con un pasto che rappresenta perfettamente la realtà alienante, accelerata e automatizzata che ha vissuto: un pranzo al McDonald’s.
In secondo luogo, si reca in una piccola azienda famigliare a produzione locale, la Polyface Farm. Pollan osserva il rapporto armonioso tra animali non-umani e fattori, che organizzano la loro attività secondo i ritmi e i tempi della natura. Nessun antibiotico, nessuna gabbia minuscola o luce artificiale che acceleri la crescita degli animali (non dormendo gli animali mangiano in continuazione). Nelle realtà locali non si denigra la vita a semplice materia di consumo. Il fattore rispetta l’animale. Lo cura. Lo cresce.
Alle orecchie di qualcuno può suonare paradossale, ma qui gli animali conducono vite felici. I maiali giocano e si rotolano nel fango; i buoi possono ruminare l’erba, i polli e le galline crescono seguendo il loro normale sviluppo.
Sulle piante non si utilizza nessun pesticida. La pluricoltura garantisce un ecosistema equilibrato in cui ogni organismo vive in un rapporto mutualistico con l’altro, abbassando il rischio di epidemie. Definiamo spesso il corpo umano come una macchina perfetta, ma dimentichiamo che esso è un prodotto dalla natura, un meccanico altrettanto eccezionale che non necessita di alcun aiuto per funzionare.
Infine, Pollan si cimenta nell’autoproduzione. Per farlo impara a cacciare, e dopo qualche mese riesce finalmente ad abbattere un cinghiale. Quest’esperienza è sicuramente la più immersiva e catartica. Con difficoltà si confronta direttamente con ciò che significa mangiare: la morte di un organismo vivente, la fine di un’esistenza per il vantaggio di un’altra. Tuttavia, sebbene questo metodo sia sicuramente il più sostenibile sotto molti punti di vista, Pollan sa che deve anche fare i conti col fatto che procacciarsi il cibo può occupare un’intera giornata, e pertanto non è pensabile un’alimentazione basata su questo metodo.
Per lui non ci sono dubbi: quanto ha visto alla Polyface farm gli ha fatto capire che esistono metodi etici e sostenibili di mangiare carne, limitando le sofferenze animali e l’impatto ambientale senza rinunciare al consumo di carne o sfociare nella sfera morale. La politica del mangiare può funzionare anche se onnivora.
Alimentazione: tra politica del mangiare e morale
La morale è un aspetto essenziale della nostra vita in società. Assieme alla legge è ciò che regola le nostre condotte, instillando in noi una voce interiore che ci dice cosa possiamo o non possiamo fare. Pertanto sembra corretto pensare anche alla nostra alimentazione in una chiave morale, eppure non è così scontato.
Se l’etica vegetariana non è la via da seguire, ma obbligare milioni di animali non-umani a spendere esistenze dolorose è altrettanto inaccettabile, cosa possiamo fare? La risposta richiede un cambio di punto di vista. Come sostenuto da Dominique Lestel in “Apologia del carnivoro” (2011), alla luce di questa discussione emerge come la problematica in realtà non riguardi la sfera etica e morale, bensì quella politica.
Pollan e Singer affermano entrambi che la morale è un artificio umano, e pertanto non la si può estendere alla sfera dei comportamenti naturali. Fare dei discorsi morali sull’alimentazione implica la possibilità di moralizzare tematiche come la sessualità, ad esempio. Cercare di risolvere una problematica simile in un campo a cui essa non appartiene ci costringe in un impasse che gioca solo a favore delle grandi lobby industriali.
Non possiamo stabilire se uccidere un animale sia giusto o sbagliato, semplicemente perché non possiamo fare a meno di farlo. Molti studiosi hanno fatto notare che se tutto il mondo diventasse vegetariano, il considerevole aumento dei pesticidi causerebbe una moria di insetti, quindi di uccelli che non avrebbero abbastanza cibo, e così via. Ogni nostra scelta radicale ha un impatto altrettanto radicale nell’alterazione degli equilibri degli ecosistemi.
Quindi occorre cercare altre forme di discorso più pertinenti ad instaurare un dialogo sull’argomento. Siccome il focus principale riguarda il modo in cui gli animali non-umani crescono e (non) vivono, vedendo i loro interessi calpestati da esigenze economiche, un ambito più fertile su cui muoversi è quello politico.
Una politica del mangiare corretta prevede una revisione e una maggiore regolamentazione dei rapporti con le aziende. A noi si richiede una maggiore attenzione verso ciò che compriamo, sincerandoci della sua provenienza, e magari preferendo comprare da piccole realtà locali.
L’apporto della tecnologia
Il progresso tecnologico ha aperto nuove possibilità che rendono una politica del mangiare onnivora ancora più sostenibile, ovviando alle problematiche legate alla sofferenza animale. La carne sintetica, infatti, ci permette di costruire vere e proprie fattorie che mantengano un alto tasso di produttività senza il bisogno di uccidere animali o rinchiuderli in recinzioni.
Purtroppo, questa soluzione incontra le resistenze degli ambienti più conservatori, che attraverso pregiudizi ideologici e retoriche populiste cercano di fare gli interessi delle lobby industriali produttrici di carne, diffondendo fake news sulla commestibilità dei prodotti.
Infatti, le ricerche sulla carne sintetica proseguono da circa un secolo, e i lunghi e numerosi esperimenti sono serviti per accertarne la sicurezza. Forse il conto sarà un sapore leggermente differente rispetto a quello a cui siamo abituati, ma di fronte agli indicibili orrori odierni della sofferenza animale, è un sacrificio che dovremmo essere disposti a fare.
Quindi, né l’etica vegetariana né quella vegana costituiscono l’unica soluzione per una politica del mangiare rispettosa dell’ambiente e della vita degli animali non-umani. Sicuramente sono risposte radicali e al giorno d’oggi utili nella battaglia contro gli allevamenti intensivi. Le comunità veg hanno infatti contribuito alla lotta per i diritti degli animali, smuovendo le coscienze degli individui e portando la tematica al centro del dibattito. Ma la risposta più radicale non è sempre la migliore e a volte non risolve il problema.