Spesso i luoghi comuni relegano la categoria del romanzo a un alter, ad un’estemporaneità. Niente di più errato.
Avete mai letto un testo di Balzac? Vi ritroverete tutte le meschinità, piccolezze, peculiarità dello spettro umano. Eugene Grandet è un’antieroina, sconfitta dalla vita, sopraffatta dalla mediocrità. Personaggio reale, vivente tuttora, che possiamo intravedere, mentre si trascina, dal basso profilo, con quella dignità che sanno possedere solo i vinti.
Guerra e pace di Tolstoj? Intriso di riferimenti al contesto sociale è un vero e proprio documento, a stigma della memoria storica di un periodo.
Chi non avuto esperienza nella sua infanzia di una “riproduzione” della signora Mann di Oliver Twist? Un’erma senza tempo, istitutrice ancestrale, intransigente e opportunista al medesimo tempo.
Ogni contenuto narrativo è ripreso dall’osservazione dell’habitus umano circostante, a partire dalla falda di un cappello al bavero di una mantella. Ogni particolare racconta l’interiorità dei personaggi, come sottoinsieme di un macrocosmo dove l’etica del quotidiano assurge a una rappresentazione di un’epoca ben distinta. L’assetto descrittivo è l’humus su cui germoglia la sovrastruttura psicologica e ideologica del romanzo.
L’avvenirismo e il progressismo hanno pian piano decurtato la ricchezza espressiva e soprattutto hanno soppiantato la prolissità dei periodi con un languore sintattico. A che pro?
La fantasia e il potere dell’immaginazione hanno fatto grande l’umanità che ora si sta impoverendo. Un pasto frugale al posto di un banchetto pantagruelico. Appunto. Pantagruel è un personaggio di un romanzo di Rabelais, un gigante che si distingue per il suo esasperato edonismo legato al consumo di cibo. Una raffinata satira dei costumi francesi del 500.
Oggi spesso mancano i colori delle metafore che solo l’assist visionario può fornire. La fantasia è parte integrante della realtà, la nutre, la circuisce, la sovrastruttura. E solo leggere tutto l’universo letterario del passato può sdoganare il proprio potere immaginifico e legittimarlo. Siamo parte di un unicum, non autoreferenziali.
Un tributo al ruolo della narrativa che preesiste a noi, avvalora il nostro assetto umano e libra tutto il potenziale che vige in noi. In ogni piccola scena del quotidiano risiede un valore letterario, è un monito.
E’ la poetica delle piccole cose di “si dolci malia” (Boheme), che d’un tratto fanno apparire una timida signora, dalla struttura fisica “crepuscolare”, quasi priva di definizione ossea, con l’abito scuro consunto (il migliore che possiede). Indossa una collana di finte perle, dal suono sordo, cammina faticosamente in un décolléte di un numero più grande rispetto al suo, a causa del quale fuoriesce il tallone ogni passo, limitandone l’andatura, già incerta. E’ domenica, è il suo momento, passa con il cestino delle offerte: il suo attimo di protagonismo, sempre nel rispetto della sua etica di non apparire, ma di servire con umiltà. Ella aspetta quella piccola cosa comune, quotidiana. Una scena di genere che racchiude tutta la grandezza dell’imprinting umano narrativo celato nei romanzi e in noi.